Game of Thrones - Stagione 8, HBO

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view post Posted on 15/4/2019, 14:19
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  • Game of Thrones
  • L'ottava e ultima stagione della serie televisiva Il Trono di Spade (Game of Thrones), composta da 6 episodi, è trasmessa sul canale statunitense HBO dal 14 aprile al 19 maggio 2019.

    In Italia la stagione andrà in onda in prima visione in lingua italiana sul canale satellitare Sky Atlantic dal 22 aprile al 27 maggio 2019. È trasmessa in lingua originale sottotitolata in italiano dal 15 aprile al 20 maggio 2019, in simulcast con HBO. Verrà trasmessa in chiaro su Rai 4.

    La stagione è accompagnata da un documentario conclusivo sulla produzione degli ultimi episodi dal titolo The Last Watch, che verrà trasmesso su HBO il 26 maggio 2019[2] e su Sky Atlantic il 3 giugno 2019.


dato che probabilmente sono staio fra gli ultimi a vederlo :asd: qualuno poteva farsiv enire l'ernai da sforzo e aprire il topic :asd: :frustaki: nel caso invece non lo abbiate ancora visto, evitate di leggere le recensioni che linko, sono tutte spoilerose

8x01 Winterfell

non ho trovato uan recensione che mi soddisfacesse completamente, tutti si focalizzano sui particolari che più li hanno colpiti, mettendo in ombra o ignorando ilr esto, quindi le metto tutte (quelle migliori)

https://serial.everyeye.it/articoli/recens...iude-43471.html
CITAZIONE
È l'evento televisivo più atteso dell'anno e finalmente ci siamo: l'ottava e ultima stagione di Game of Thrones è iniziata (e il primo episodio è stato inavvertitamente reso disponibile con quattro ore di anticipo per gli utenti di Direct Tv, servizio streaming americano simile al nostro Now Tv). Leak involontari a parte, la puntata è stata trasmessa su Sky Atlantic alle 3 di notte in contemporanea con gli Stati Uniti, e in tantissimi hanno preferito puntare la sveglia e concedersi solo poche ore di sonno per non dover aspettare un minuto di più (e anche per evitare spoiler). Otto anni fa, al debutto della prima stagione, quasi nessuno avrebbe immaginato che un giorno una serie fantasy con draghi e zombie sarebbe diventata un fenomeno globale da record.
E invece Game of Thrones è la serie più piratata della storia, e ora milioni di persone non aspettano altro che scoprire chi morirà, chi sopravvivrà e soprattutto chi siederà sul Trono di Spade (sempre che a fine stagione ci sia ancora un trono su cui sedersi, naturalmente). Ma mancano ancora alcune settimane prima della fine del viaggio. Intanto, quindi, parliamo di questo nuovo - e ultimo - inizio di stagione. Vi ricordiamo che la puntata andrà in onda anche alle 21 (con i sottotitoli, e lunedì prossimo doppiata in italiano) ed è già disponibile su Now TV, Sky Go e Sky On Demand). Attenzione! L'articolo contiene spoiler sull'episodio.

"Winterfell"
Si parte subito con una sigla di apertura spettacolare ben diversa dalle precedenti (pur rispettandone lo stile): se nel corso delle passate stagioni il fulcro da cui si partiva per esplorare la mappa di Westeros e i relativi eventi è sempre stato Approdo del Re, capitale dei sette regni, ora ci spostiamo a nord di una Barriera ormai distrutta dal Re della Notte per seguire l'avanzata del ghiaccio, dell'inverno e dell'esercito degli Estranei. Simbolicamente passiamo dalla lotta più strettamente politica a quella per la sopravvivenza, quindi, anche se la sigla culmina proprio sul Trono di Spade.

E ora veniamo all'episodio vero e proprio. Senza girarci inutilmente intorno, "Winterfell" è il miglior esordio di stagione di Game of Thrones dai tempi del primo episodio. Innanzitutto proprio perché, ricalcando alcune scene del pilot, dà un piacevole senso di circolarità narrativa in una serie che è sempre andata via via frammentandosi narrativamente, disperdendo i suoi protagonisti ai quattro angoli di Westeros (ed Essos). Le storyline avevano già iniziato a convergere nella scorsa stagione, ma è in questo episodio che finalmente tutti si ritrovano - con l'ovvia eccezione di Cersei, ancora ad Approdo del Re.
Un cerchio che si chiude, dicevamo. E infatti la puntata si apre con un corteo - quello di Daenerys e Jon (Emilia Clarke e Kit Harington) - che arriva a Grande Inverno, con un ragazzino che sgomita tra la folla e si arrampica su un albero per riuscire a vedere meglio così come una Arya (Maisie Williams) ancora bambina era salita su un carretto per lo stesso motivo nel pilot. L'arrivo di Jon e Dany ricalca volutamente l'arrivo di Robert e Cersei, ma c'è decisamente più ostilità da parte del Nord nei confronti della Madre dei Draghi, che si presenta come loro regina.

Nella puntata non succede nulla di particolarmente eclatante: non ci sono battaglie, se escludiamo il rapido salvataggio di Yara da parte di Theon, ma va benissimo così.
È un episodio di reunion, di personaggi che si ritrovano dopo anni: in Arya troviamo uno sprazzo di quella fanciullezza perduta quando finalmente riabbraccia Jon e poi bisticcia con Gendry; Sansa (Sophie Turner) e Tyrion (Peter Dinklage) si rivedono per la prima volta dal matrimonio di Joffrey e, a riprova della crescita della giovane Stark, è lei a mostrarsi più arguta ("it had its moments") e lungimirante di un Folletto che sembra sempre un po' sacrificato narrativamente nel suo ruolo di braccio destro di Dany; Jaime (Nikolaj Coster-Waldau) si ritrova di colpo davanti alle conseguenze delle sue azioni quando scorge Bran paralizzato ad attenderlo. E finalmente Sam rivela a Jon la verità sulle sue origini, piantando il seme del dubbio su Daenerys e la sua abilità come regina. C'è anche spazio per una cavalcata in groppa a Drogon e Rhaegal mentre ad Approdo del Re Cersei (Lena Headey) ottiene i 20mila soldati della Compagnia Dorata.

Per le battaglie ci sarà tempo: "Winterfell" permette ancora di respirare, con spazio persino per qualche battuta ed elemento comico prima che la situazione si faccia più seria e drammatica, e allo stesso tempo pone le basi per i contrasti e conflitti che vedremo nel corso della stagione. Soprattutto, ci dà quel senso di chiusura perfetto per inaugurare l'inizio della fine di una serie che ha per sempre cambiato l'intrattenimento televisivo.

è vero che è, ovviamente, una "partenza di stagione" e chi deve riunirsi è in fase di riunione, ma dire che "Nella puntata non succede nulla di particolarmente eclatante" solo perchè c'è un unico scontro, il salvataggio della sorella da parte di Theon, ed è decisamente rapido, significa non aver mai visto molto aldilà dei colpi di spada :sehseh: le cose succedono, eccome, ma sopratutto iniziano, è una storia raccontata, non un videogioco picchiapicchia, e abbacinati dal finale con l'incontro fra Jaime e la sua "vittima" ci si scorda della situazione in cui si trovano i guardiani della notte e i bruti di thormund, già superati dall'esercito dei morti e forse con un nimero di cavalli insufficente a consentirli di arrivare a winterfell prima del re della notte, e di come scoprono di essere già tagliati fuori, trovano quello che rimane degli Umber (il clan con i territori più vicini alla barriera) già zombizzato e andato via con gli altri, ma il re della notte gli aveva lasciato un regalo


https://gogomagazine.it/serie-tv/game-of-t...censione-70734/
CITAZIONE
Dopo un’attesa apparentemente infinita, è finalmente uscito il primo episodio di Game of Thrones 8. Le domande restano ancora moltissime anche se questo primo frammento di storia ha cercato di far quadrare e dare un ordine generale verso quello che è stato e verso quello che verrà. Adesso si torna in attesa…

Prima della lettura è giusto precisare che la seguente recensione includerà nella sua trattazione alcuni spoiler dell’episodio, pertanto vi invitiamo a non procedere alla lettura senza aver prima visionato il tutto

Game of Thrones 8 fin dai suoi primissimi secondi richiama alla prima stagione della serie (confermando quanto aveva detto in una recente intervista Maisie Williams). In particolar modo alla scena in cui Re Robert arriva a Grande Inverno con il suo grande seguito, ed una minuscola Arya Stark corre eccitata fra la folla per goderne l’arrivo da un punto di vista privilegiato. Tutto questo ritorna qui, sia per quanto concerne lo stile delle riprese, sia per la fotografia, sia per la colonna sonora, per poi soffermarsi su Arya, stessa, ora cambiata, che con molta probabilità ricorda come anche noi.

Questo episodio d’apertura di Game of Thrones 8 si pone proprio come un punto di partenza verso tutti quelli che saranno i futuri sviluppi della storia. In esso ritroviamo moltissimi dei personaggi principali ora cresciuti e cambiati, che vedono a loro stessi e al mondo che li circonda in maniera diversa. Parecchie scene, poi, sono avvolte da un sentimentalismo nostalgico che esplode nello stile generale della regia che parla senza parlare, e dal “lieto ritrovarsi” di moltissimi di loro.

Le ansie generali a chiudere il precedente arco narrativo ritornano, diventando giustificazione di determinate scelte e sviluppi al principio, e reale angoscia verso la fine. Oltre a tutto questo l’identità generale dei Sette Regni resta intatta, con tutte le sue regole segrete, i suoi titoli e il suo ego.

“We must fight togheter now”

Dice Jon Snow nel tentativo di far comprendere che i titoli non servono a nulla quando la morte marcia silenziosa e costante sulla Terra.

Importante anche come l’evoluzione di Daenerys, Sansa ed Arya, abbia contribuito ad alimentare la loro imprevedibilità, in un insieme di scene in cui non sono troppo facili da decifrare.

Ovviamente Game of Thrones 8 non è soltanto il Nord, mentre a Grande Inverno i sentimentalismi per il futuro prendono il controllo della situazione, al Sud viene a formarsi la decisa controffensiva di una Cersei molto enigmatica e manipolatrice, e i Greyjoy si riuniscono generando nuove strade narrative che impatteranno con la guerra e la famiglia.

In tutto questo c’è anche spazio per la storia d’amore più chiacchierata dalla community, quella fra Jon e Dany, i quali riescono, in maniera molto suggestiva, a ritagliarsi qualche momento per loro soli, sotto agli occhi stupefatti di tutti.

Le dinamiche segrete di Game of Thrones 8 sono una delle cose più preziose per i fan. La settima stagione si era chiusa con una rivelazione che aveva fatto urlare tutti quanti dall’entusiasmo e questo primo episodio di stagione ha dato finalmente una risposta non troppo al suo pubblico quanto ad un personaggio in particolare, fino ad ora rimasto allo scuro di tutto: Jon Snow.

La verità sulle sue origini, una tomba antica, parole dettate dall’emotività di un Samwel Tarly ora ferito, illuminate dalla fievole luce delle candele.

In questo mare di emozioni e citazioni al passato, un nuovo Jaime Lannister approda a Grande Inverno e si ritrova faccia a faccia con uno dei suoi peccati più atroci.

" Le domande restano ancora moltissime" sono aumentate, come doveva essere :asd: avessero iniziato a risolvere le cose nel primo episodio, cosa ci mettevano negli altri? :asd:


https://www.badtv.it/2019/04/game-of-thron...-la-recensione/
CITAZIONE
Winter is Coming. Così si intitolava l’episodio che sette stagioni, sessantasette episodi, otto anni fa dava inizio alla saga di Game of Thrones. La première dell’ottava e ultima stagione della serie vi fa continuamente riferimento, come un punto fermo mitico di per sé nella mitologia stessa della serie. Non si contano infatti i riferimenti e gli omaggi che reggono come puntelli narrativi ed emotivi l’intreccio della première dell’ottava stagione, intitolata semplicemente Winterfell. Tra incontri a lungo rimandati, alleanze malferme, verità che tornano a galla, questo è l’episodio atteso, nostalgico e probabilmente irrinunciabile, che fa il punto sui conflitti in gioco tra i personaggi rimasti.
Nella regia di David Nutter (Le piogge di Castamere) Grande Inverno diventa allora la cornice ideale nella quale stringere lo sguardo sulla maggior parte dei personaggi dell’intreccio, riuniti sul posto per affrontare la bufera degli Estranei. La scrittura di Dave Hill traccia più di un collegamento ideale con il pilot della serie, gioca su continui riferimenti visivi e narrativi per lo spettatore che sa quanta strada è stata fatta. L’idea è quella di generare un senso di ritorno alle origini, agli equilibri di un tempo e a come questi siano stati sostituiti da nuovi e più malfermi centri di potere.

Ad esempio, si riparte dall’arrivo di un’armata a Grande Inverno che ci viene mostrata tramite lo sguardo di un bambino che si arrampica per guardare lontano. Non è più Robert Baratheon, ma Daenerys Targaryen che arriva alla testa dell’esercito degli Immacolati e dothraki. Per non parlare dei due draghi al seguito. Daenerys arriva come salvatrice, liberatrice, ma è solo l’urgenza della minaccia degli Estranei – che però non appaiono nell’episodio – a tenere a freno tutte le rimostranze degli abitanti del Nord. Prima fra tutti Sansa, nuova lady di Grande Inverno che non vede di buon occhio quella che appare come l’ennesima conquistatrice straniera. Non sembrano lamentele campate in aria, dato che ne va dell’alleanza con le altre casate (ma, potendo scegliere, meglio i draghi).

L’astio nei confronti di Daenerys si traduce nella delusione rispetto a Jon Snow, colpevole di aver rinunciato al proprio titolo di re del Nord. Sansa è più esplicita, Arya più sottile, ma l’obiezione rimane. E viene rimarcata con forza nel momento più importante della puntata, in cui Sam svela a Jon il segreto delle sue origini. Qualcosa che non fa di lui solo il re del Nord, ma dei Sette Regni, proprio lui che a Grande Inverno nel pilot soffriva la propria condizione di bastardo. Il momento è grave, e giunge nel luogo più adatto, la cripta di Grande Inverno, di fronte alle spoglie di Ned Stark e soprattutto di Lyanna, il cui profilo sfocato rimane sullo sfondo mentre vediamo lo sguardo di Jon.

Fino a quel momento Jon non ha dubbi, ha agito per il meglio, eppure giustifica la propria decisione, a se stesso e agli altri, sempre citando la minaccia in corso piuttosto che il valore di Daenerys. Molto ricade sulle spalle del personaggio, che emerge di più rispetto a Daenerys. È interessante questo Jon preso da dubbi e ansie, sospeso tra un potere al quale ha rinunciato, ma che dall’altro gli spetterebbe. Lo è di più del Jon innamorato e spaesato, che appariva più a suo agio nel rapporto soffertissimo con Ygritte, fatto di passione e scoperta, rispetto ai voli romantici a dorso di drago con Daenerys cui seguono baci poco convinti e i dialoghi meno riusciti dell’episodio.

Ma questo rimane un episodio di incontri. Arya, Gendry, Clegane, Tyrion, Varys, Jorah, Davos, confluiscono tutti nello stesso luogo con il loro carico di esperienze personali. È un calderone di personaggi dai quali la scrittura estrapola le combinazioni più interessanti proponendole senza soluzione di continuità. C’è uno scambio apprezzabile tra Sansa e Tyrion in cui si parla del matrimonio di Joffrey (“ha avuto i suoi momenti”), e un segmento in cui Arya chiede a Gendry di forgiarle un’arma. Tra l’imbarazzato e il tragico c’è il confronto tra Daenerys e Sam, che si trasforma da ringraziamento a doppio necrologio. Rimane sospeso l’incontro tra Jaime e Bran, richiamo definitivo alla conclusione della prima puntata, quando il primo gettava il secondo da una torre. Nel corso dell’episodio proprio Bran aveva dichiarato di “aspettare un vecchio amico”.

Intanto l’unica scena d’azione della puntata, il salvataggio di Yara da parte di Theon, è fin troppo sbrigativa, e il confronto con lo zio Euron è rimandato al futuro. Interessante però il commento di Yara sulla necessità di offrire un riparo sicuro a Daenerys nel caso in cui Grande Inverno dovesse cadere (eventualità molto probabile). L’altro centro di potere – come sottolineato da una sigla del tutto rinnovata – è Approdo del Re. Una Cersei attendista qui si limita a lamentarsi per l’assenza degli elefanti, ma è soddisfatta per l’arrivo dei mercenari della Compagnia Dorata. Qyburn manda Bronn in viaggio per uccidere i due Lannister rimasti, ma non ce lo vediamo nonostante tutto il mercenario a uccidere i suoi vecchi amici.

Winterfell è più coinvolgente in alcuni momenti (l’incontro tra Jon e Arya), ingessato e distaccato in altri, con qualche inattesa punta di umorismo affidata a Tormund e Bronn. Ma soprattutto è un episodio reunion, dominato dall’esigenza di offrire uno sguardo dall’alto su tutti i personaggi e puntualizzare i conflitti in vista delle ultime puntate. La promessa del CEO della HBO di assistere a “sei film” viene rimandata alla prossima settimana.

tutti si preoccupano dell'ostilità di Sansa, quando la cosa che dovrebbe far capire a Jon che l'affare non è stato grasso coem continua a parergli dovrebbe essere l'osotilità della piccola Mormont, invece anche il voltafaccia di Lord Glover lo capsice solo quando gli viene spiegato da Sansa, si era impegnato a seguire lui e gli Stark, ora dovrebbe seguire Daenerys, e non vuole farlo (gioca sporco, le sue terre sono quelle più meridionali del territorio degli Stark :asd: ) ed è sempre Sansa a metterlo di fronte ad un'altra verità, il vero motivo per cui ha rinunciato alla corona del Nord e si è sottomesso a Daenerys :asd:


https://serialfreaks.it/game-of-thrones/8x01-winterfell/
CITAZIONE
Avvisiamo i lettori, qualora ce ne fosse il bisogno, che le nostre recensioni di Game of Thrones NON sono spoiler free! Avventuratevi a vostro rischio e pericolo se non avete ancora visto l’episodio 8×01 – Winterfell.

L’episodio di apertura di ogni stagione di Game of Thrones è sempre stato un disporre metodicamente le pedine sulla scacchiera dell’intreccio narrativo. Non succede (quasi) nulla di speciale, ma si intravedono possibilità di sviluppo e di maturazione da parte dei personaggi, in un continuo foreshadowing e lunghe pause cariche di atmosfera.

Winterfell non è da meno, ma ha una cruciale differenza rispetto agli anni passati. Ovviamente è l’ultima première, e ovviamente la posta in gioco è più alta e grave del gioco di potere che ci ha sollazzati prima dell’inverno, e appunto per questo motivo l’episodio è più incentrato sul far progredire la trama. Il montaggio ci accompagna abbastanza serrato, rivelazione dopo rivelazione, ciascuno dei protagonisti nel proprio porto sicuro, relativamente al caldo.

Ora i ritmi sono serrati, si deve chiudere e lo si deve fare nella maniera più efficiente possibile

Iniziando proprio da Winterfell, Game of Thrones parte in quarta con le logiche di palazzo – tendenzialmente più care a King’s Landing, ma quasi tutti i nemici di Cersei sono in un posacenere. Come prevedibile, Daenerys non è ben vista al nord, e la flemma di Jon nell’imporre la sua idea di alleanza non è di aiuto. Si fanno anzi strada i sospetti, in primis di Sansa, e successivamente di Samwell, a far vacillare la reputazione granitica della madre dei draghi agli occhi dell’ex re del nord.

Il filone narrativo di Jon e Daenerys (non li chiameremo mai Jonerys, le ship ci fanno venire l’orticaria) è piuttosto solido, riuscendo a gestire bene le reunion tra diversi personaggi cardine della serie, pecca un filo di fan service durante la cavalcata dei draghi ma porta a casa un ottimo risultato. L’unico neo è l’eccessiva voglia da parte degli autori di stemperare l’atmosfera, come se tutti dimenticassero a più riprese di avere dei cavalieri non-morti pronti a incombere su di loro.

Il mutamento del paradigma narrativo di Game of Thrones si nota anche nella maniera in cui alcuni dialoghi dall’enorme portata ricevono uno screentime piuttosto risicato: la sola rivelazione a Jon del suo posto come erede dei Targaryen avrebbe bisogno di più tempo per essere assimilata, nei primi anni della serie avrebbe sicuramente ricevuto altro spazio e altro processo di assorbimento all’interno dell’intreccio. Ora i ritmi sono serrati, si deve chiudere e lo si deve fare nella maniera più efficiente possibile, a volte a discapito del pathos.

L’episodio è comunque uno spettacolo per gli occhi, a iniziare da una sigla radicalmente mutata in parecchi elementi, claustrofobica nel voler entrare nei dettagli delle poche città rimaste significative, passando per le sequenze dedicate ai draghi, fino all’incontro col piccolo Umber, dato alle fiamme post-mortem e post mutazione. La minaccia del Night King finalmente si avverte, ma è in coda all’episodio.

King’s Landing non se la passa male, Cersei si intrattiene con Euron – più per alleanza che per reale trasporto emotivo – e si inizia anche a intravedere un percorso tra la capitale e Winterfell. Si traccia una scia di vendetta tramite Bronn, che probabilmente finiremo per detestare visto il compito assegnatogli, ma è una storyline che ha ancora qualche tempo per maturare. Tematicamente, Cersei viene dipinta come il classico villain, e la sfumatura e la personalità vengono date più dall’interpretazione di Lena Headey che dalla scrittura dei dialoghi.

Game of Thrones torna con un ottimo episodio, in cui il senso di nostalgia e i richiami alla prima stagione si fanno estremamente vividi e aiutano a migliorare lo spettacolo. Alcuni momenti filler erano evitabili (i lunghi minuti dei due piccioncini incestuosi in sella ai draghi), altri momenti importanti meritavano maggiore attenzione (persino la liberazione di Yara), ma globalmente Winterfell è una premiere che ci lascia soddisfatti e speranzosi per una – ancora relativamente lontana – chiusura di serie più che dignitosa.

La première dell'ultima stagione di Game of Thrones fa un'ottima figura, nonostante la gestione sub-ottimale di alcune sue storyline e quella punta di palese fan service che stona con l'atmosfera di pericolo che i protagonisti dovrebbero respirare. Le pedine sono disposte sulla scacchiera, ora è tempo di iniziare a muoverle.

sì, la sceneggiatura e i dialoghi non sono sempre all'altezza, ma ormai gli attori sono ben addentro ai loro personaggi, e riescono a mascherare bene le magagne, principale pecca dell'episodio, tanti personaggi e la maggior parte non ha avuto molto spazio e possibilità, anche grazie al tributo agli shippers di Jon e Daenerys :asd: che forse poteva essere più breve, se per alcuni personaggi (per esempio Verme griigio e Missandei) non è un problema, Davos, Varys e sopratutto Tyrion ne escono maluccio
 
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view post Posted on 22/4/2019, 13:25
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8×02 A Knight of Seven Kingdoms

tre recensioni anche oggi

https://series.talkymedia.it/game-of-thron...pisodio-spoiler
CITAZIONE
La seconda attesa puntata dell’ottava stagione di Game of Thrones è andata in onda su HBO ed è in contemporanea su Sky Atlantic, pochi colpi di scena ma alcuni eventi emozionanti.

Dopo la première ci siamo di nuovo, stanotte è andata in onda la seconda puntata della stagione finale di Game of Thrones e l’attesa era tutta sul ritorno di Jaime Lannister. Il personaggio di Nikolaj Coster-Waldau aveva avuto solo un breve cameo alla fine del primo episodio, ora però lo troviamo di nuovo in gioco sin dalla prima scena. Questo episodio iniziamo col dire che è di preparazione, esattamente come lo era stato il primo, alla Battaglia di Grande Inverno prevista per la terza puntata.

Tutti i personaggi dovevano sistemare dei tasselli prima di rischiare di morire nella guerra con gli Estranei e lo hanno fatto, alcuni anche oltre quanto potessimo immaginare. Una puntata ricca di dialoghi, ricca di reunion e con la rivelazione che finalmente arriva anche alle orecchie di Daenerys. Una classica puntata alla Bryan Cogman, che dimostra di saper ancora scrivere qualcosa di buono dopo le aspre critiche ricevute in passato.

Cominciando a parlare dei fatti della 8×02 di Game of Thrones risulta immediatamente che la produzione ha abbracciato completamente la strada del fan service: Arya si dimentica per un attimo di liste e guerre diventando umana, arrivando persino a baciare e fare sesso con Gendry. Se non è fan service questo poco ci manca, anche se obiettivamente tutti ci aspettavamo questa svolta che effettivamente ha portato immediatamente alla mente il dialogo tra Robert Baratheon e Ned Stark nella prima stagione: “Tu hai una figlia, io un figlio. Uniremo le casate”. Un altro cerchio che si chiude come quello di Jon, che ha scoperto la verità su sua madre davanti alla statua del padre dopo che questo gli aveva detto che quando si sarebbero rivisti gli avrebbe detto tutto. Sicuramente il patriarca di Casa Stark avrebbe gradito molto di più vedere Gendry con Arya che Sansa con Joffrey.

Andando però ad analizzare i fatti davvero importanti, ancora una volta risulta splendido il personaggio di Jaime Lannister che ha un ampissimo screening, vivendo sia scene col fratello Tyrion che con Brienne. Il suo rapporto con la guerriera si ferma a quello tra due amici, con lui che corona il sogno della di lei vita nominandola Cavaliere dei Sette Regni. Sicuramente in molti da casa tifavano per il bacio, ma sarebbe stato davvero troppo. Così come vedere Brienne cedere alle avance di Tormund, che sembra destinato alla fine di Sir Jorah condannato a restare al fianco di qualcuno che non lo ricambierà mai con buona pace del loro fandom. Il momento è accompagnato dalla canzone di Jenny, in una ricostruzione fedele di quel che fanno i cavalieri prima di una battaglia quando quelle che hanno davanti potrebbero essere le loro ultime ore.

Tra le story line minori sicuramente belli e significativi i dialoghi tra Missandei e Verme Grigio, che dimostrano di avere ancora un briciolo di umanità e una flebile speranza di vivere un futuro insieme, e tra Sansa e Theon che si danno un lungo abbraccio ritrovandosi. Il giovane Greyjoy finalmente ha definitivamente scelto da che parte stare portando a compimento il suo arco narrativo, siamo pronti a scommettere che morirà per proteggere Sansa nella grande battaglia.

Arriviamo però ai momenti più attesi e c’è da dire che showrunner e attori hanno fatto un buon lavoro: il primo è sicuramente il dialogo tra Bran e Jaime, con il primo che ha deciso di non condannare a morte il secondo come fatto invece con Ditocorto. La conversione di Jaime è finalmente compiuta e adesso è davvero uno dei personaggi più belli di Game of Thrones se analizziamo la sua parabola lungo le otto stagioni. Anche per lui temiamo che potrebbe morire, anche se ovviamente attendiamo tutti che prima uccida Cersei che non si è vista minimamente così come tutto il sud in questi 55′.

Il secondo momento che aspettavamo di più era il confronto tra Jorah e Daenerys, con il primo decisivo nel patteggiare Tyrion dopo i dubbi della regina sulla sua capacità di esserne il Primo Cavaliere. Ancora una volta Ser Jorah si dimostra un amico prima ancora che un servitore, con l’amore per Dany destinato a durare finché non morirà e pensiamo possa accadere anche per lui molto presto. Daenerys è una delle protagoniste assolute della puntata, come dimostra anche il dialogo con Sansa Stark che è la parte più sorprendente: il gelo tra le due scende nel momento in cui si incontrano nella biblioteca e la madre dei draghi confessa di amare Jon Snow.

Dopo questo momento mancava soltanto un tassello nell’intricato puzzle che è diventato Grande Inverno e trasformare Game of Thrones in un “effetto beautiful”, anche se naturalmente stiamo estremizzando. Jon e Dany si incontrano nella cripta di Grande Inverno e quest’ultimo le rivela di essere in realtà il figlio di Rhaegar e Lyanna, ovvero suo nipote. Il personaggio di Emilia Clarke è davvero sconvolto, segno che il sentimento di Jon è sincero ma per un momento pensa anche alla questione del Trono. In realtà la regina ha studiato la storia dei Targaryen e sa che questo potrebbe sistemare tutto, dato che i due sono effettivamente innamorati e potrebbero sposarsi come già accaduto in passato tra i membri della famiglia.

Fortunatamente però gli showrunner tagliano la scena prima che i nostri pensieri vengano in qualche modo formulati anche dai protagonisti sul piccolo schermo. Il team creativo si ricorda che, con tutto il rispetto per le ship, i fan di Game of Thrones vogliono sapere chi vincerà tra il fuoco degli uomini e il ghiaccio dei morti. Un corno risuona, gli Estranei guardano Grande Inverno. La canzone di Jenny torna ad accompagnare gli ultimi titoli di coda che non saranno bagnati dal sangue, torna a cullare i nostri guerrieri prima del momento più difficile che si sono mai trovati ad affrontare. La Grande Guerra è arrivata.

Questa seconda puntata c’è piaciuta decisamente più della prima sia per i punti toccati in scrittura sia per le prove del cast, ora l’appuntamento con Game of Thrones è per la prossima settimana sempre alle 3 del mattino su Sky Atlantic. Preparatevi perché sarà l’episodio più lungo della serie con ben 83′ realizzati grazie a 4 mesi di riprese. Sarà probabilmente il momento più alto della storia sul piccolo schermo.

https://www.telefilm-central.org/game-of-t...-episodio-8x02/

CITAZIONE
Come passereste la vostra ultima notte sulla terra? O, forse, sarebbe più giusto domandarsi: come passereste la vostra ultima notte in vita? Del resto è questo che fanno i personaggi di Game of Thrones nell’episodio 8×02. C’è chi beve, chi canta canzoni, chi sperimenta le gioie dell’amore carnale per la prima volta.

Più di ogni altra cosa questo episodio focalizza l’attenzione sulle questioni lasciate in sospeso. Se il primo episodio era stato una sequenza di reunion senza fine, questo secondo episodio è il momento della resa dei conti. Non dei vivi con i morti – per quello dovremo aspettare ancora un po’ – bensì dei vivi con i vivi.

Jaime Lannister è il forse il fulcro più importante di questa puntata. L’avevamo visto arrivare a Winterfell alla fine dello scorso episodio come il “vecchio amico” che Bran stava aspettando. Non sorprende quindi che lo Sterminatore di Re sia messo a processo, considerata la quantità di gente che ha ferito in quel castello. Per giunta a processarlo è proprio la figlia dell’uomo e Re che ha assassinato. Le ragioni che aveva per farlo erano più che giustificate e la stessa Daenerys è ormai a conoscenza dell’indole folle di suo padre. Eppure non è semplice dissociare giustizia e buon senso avendo davanti il responsabile delle proprie sciagure.

Per colpa di Jaime, Daenerys è stata costretta a fuggire con il fratello e vivere in terra straniera. Costretta a subire un matrimonio combinato e tutto quello che ne è seguito. Jaime è la prova vivente di tutto ciò che lei avrebbe dovuto e potuto essere, personificata nell’assassino di suo padre.

Come previsto, Sansa non si schiera di certo con l’uomo che ha aggredito suo padre, portando alla sua cattura e successiva esecuzione. Jon – ancora sotto shock per la rivelazione “scottante” di Sam – è sempre per il “più siamo meglio è”, un generale pragmatico ormai proiettato alla battaglia in arrivo, che si è lasciato alle spalle ciò che può o non può essere successo anni prima. Un uomo che sa brandire una spada, per lui, è solo questo, nient’altro.

Resta lodevole però la risposta dello Sterminatore di Re: non si scusa per ciò che ha fatto in nome e difesa della sua casata. Un gesto quasi folle, considerato il suo pubblico. Chapeau, Jaime.

Ma più di Daenerys o Sansa o Jon è la reazione di Bran che colpisce maggiormente. Senza troppi giri di parole il ragazzo rivela a Jaime di essere il Corvo a tre Occhi e, con fare criptico, dichiara “Le cose che facciamo per amore.”. Le ultime, famose parole del cavaliere prima di buttare il ragazzino giù da una torre.

Bran è diventato quello che è proprio grazie e a causa di quella caduta. Dal momento che non può più provare i sentimenti umani nella stessa concezione in cui li intendiamo noi, non potremo mai sapere se sia riconoscente a Jaime oppure lo incolpi per quello che gli è successo. Tirando a indovinare si può supporre un po’ entrambe.

La sorpresa di Jaime è tuttavia giustificata: Bran non ha rivelato a nessuno che è stato proprio il Lannister a gettarlo giù dalla torre che gli ha precluso per sempre la capacità di correre e camminare. Una sua parola sarebbe bastata a Daenerys per condannare Jaime. Ma non può combattere per loro se prima verrà giustiziato e questa è la ragione per cui l’ultimo figlio vivente di Ned e Catelyn Stark non ha rivelato le colpe di Jaime Lannister. Gli ha offerto, che lui lo sappia o meno, l’ennesima occasione di redimersi, agli occhi degli Stark e dei Regni degli Uomini.

Sulla scia delle reunion che continuano, Tormund, Edd e Beric arrivano a Winterfell, portando le nefaste notizie dell’avanzata dell’esercito dei non-morti. Tutti erano stati creduti morti in seguito alla caduta della Barriera e del castello di Eastwatch quindi è un sollievo per Jon poter riabbracciare i propri fratelli. Tra le scene più intense dell’episodio c’è proprio quella di Edd, Sam e Jon (e Spettro!) sulle mura della città. La loro avventura è iniziata quando sono entrati a far parte dei Guardiani della Notte ma la loro “guardia” ricomincia ancora una volta, come sottolinea Edd.

È commovente pensare a quante avventure hanno vissuto questi personaggi, cosa hanno affrontato e come sono riusciti a cavarsela nonostante le avversità. Certo, hanno perso “pezzi” per strada, compagni caduti per difendere i Regni dei Vivi. Lo zio Benjen, Pyp, il Comandante Mormort, Grenn. La loro guardia potrà essersi conclusa ma quella di Jon e degli altri non ancora. Non finchè ci saranno persone da difendere e loro avranno fiato per farlo.

Sulla scia di reunion che aspettavamo (anche se non sapevamo di averne bisogno) ci sono altri due momenti davvero belli. In primo luogo il confronto tra la piccola Lyanna Mormont e Jorah. I due, sebbene abbiano più l’età di un padre/nonno sono in realtà cugini (Lyanna è la figlia della sorella di Jeor Mormont, il comandante dei Guardiani della Notte, padre di Jorah). Il consigliere di Daenerys suggerisce alla sua Signora di restare nelle cripte, con le donne ed i bambini, ma non esiste al mondo che Lyanna Mormont non resti a combattere con i propri uomini. A combattere e morire con loro, se necessario.

Anche Jorah si rende velocemente conto del fatto che lo spirito dei Mormont è impavido in sua cugina e non insiste. In fondo, è lei la signora della sua casata, l’ultima discendente dei Mormont. Lyanna è riuscita a risollevare l’orgoglio e l’onore di una casata il cui nome lui aveva contribuito ad infangare con le sue azioni.

Emozionante è altresì l’incontro tra Sansa e Theon. I due si sono lasciati dopo essere scappati da Ramsey per seguire strade molto diverse. Ma Theon è cambiato, nonostante tutto, anche se la strada della redenzione non si è ancora conclusa per lui. Ha salvato Yara, è vero, ed ora è tornato a Winterfell per combattere al fianco di Sansa e di Bran, a cui aveva così spregevolmente sottratto il castello. Sono molte le colpe che Theon deve espiare, forse troppe per non concludersi con una sua dipartita proprio sotto le mura della città in cui è cresciuto ed che poi ha tradito.

Ma arriviamo al preludio della battaglia. Mentre Missandei e Verme Grigio si salutano, con la promessa di andare a Naath dopo la fine della guerra (sappiamo tutti che uno o entrambi moriranno, vero?) e mentre Sansa e Theon mangiano zuppa, Samwell Tarly dona a Jorah una spada con acciaio di Valyria. Perché è importante? In primo luogo per la profezia di Azor Ahai ma principalmente per la fiducia che Sam pone nelle mani di uno dei più fedeli servitori della donna che gli ha ucciso padre e fratello.

Non credo che Sam sia stupido, sa perfettamente che quella spada non avrebbe nessun uso nelle sue mani, non servirebbe a svoltare le sorti della battaglia. Ma nelle mani di uno spadaccino come Jorah, che ha sconfitto uno dei Dothraki in un duello e che ha sempre dimostrato di essere un guerriero eccellente? Oh si, nelle sue mani quella spada potrebbe essere più che fondamentale!

Tre sono tuttavia le scene fondamentali, prima dell’inquadratura dell’esercito dei non morti. Una si svolge in qualche angolo dimenticato del castello; una nella Sala grande (o come si chiama) del castello e una nelle cripte, davanti alla statua di Lyanna Stark.

GAME OF THRONES - IL TRONO DI SPADEGame of Thrones: i nodi che vengono al pettine. Recensione dell’episodio 8×02
ByKatia KutsenkoPosted on Aprile 22, 2019
game of thrones 8x02 recensioneSHARE TWEET SHARE EMAIL
Come passereste la vostra ultima notte sulla terra? O, forse, sarebbe più giusto domandarsi: come passereste la vostra ultima notte in vita? Del resto è questo che fanno i personaggi di Game of Thrones nell’episodio 8×02. C’è chi beve, chi canta canzoni, chi sperimenta le gioie dell’amore carnale per la prima volta.

Più di ogni altra cosa questo episodio focalizza l’attenzione sulle questioni lasciate in sospeso. Se il primo episodio era stato una sequenza di reunion senza fine, questo secondo episodio è il momento della resa dei conti. Non dei vivi con i morti – per quello dovremo aspettare ancora un po’ – bensì dei vivi con i vivi.

LEGGI ANCHE: Game of Thrones – la fine ha inizio. Recensione dell’episodio 8×01

UN LANNISTER PAGA SEMPRE I PROPRI DEBITI
game of thrones 8x02 recensione
Credits: HBO

Jaime Lannister è il forse il fulcro più importante di questa puntata. L’avevamo visto arrivare a Winterfell alla fine dello scorso episodio come il “vecchio amico” che Bran stava aspettando. Non sorprende quindi che lo Sterminatore di Re sia messo a processo, considerata la quantità di gente che ha ferito in quel castello. Per giunta a processarlo è proprio la figlia dell’uomo e Re che ha assassinato. Le ragioni che aveva per farlo erano più che giustificate e la stessa Daenerys è ormai a conoscenza dell’indole folle di suo padre. Eppure non è semplice dissociare giustizia e buon senso avendo davanti il responsabile delle proprie sciagure.

Per colpa di Jaime, Daenerys è stata costretta a fuggire con il fratello e vivere in terra straniera. Costretta a subire un matrimonio combinato e tutto quello che ne è seguito. Jaime è la prova vivente di tutto ciò che lei avrebbe dovuto e potuto essere, personificata nell’assassino di suo padre.

Come previsto, Sansa non si schiera di certo con l’uomo che ha aggredito suo padre, portando alla sua cattura e successiva esecuzione. Jon – ancora sotto shock per la rivelazione “scottante” di Sam – è sempre per il “più siamo meglio è”, un generale pragmatico ormai proiettato alla battaglia in arrivo, che si è lasciato alle spalle ciò che può o non può essere successo anni prima. Un uomo che sa brandire una spada, per lui, è solo questo, nient’altro.

Resta lodevole però la risposta dello Sterminatore di Re: non si scusa per ciò che ha fatto in nome e difesa della sua casata. Un gesto quasi folle, considerato il suo pubblico. Chapeau, Jaime.

BRAN E JAIME: LE COLPE E LE RESPONSABILITÀ

Credits: HBO

Ma più di Daenerys o Sansa o Jon è la reazione di Bran che colpisce maggiormente. Senza troppi giri di parole il ragazzo rivela a Jaime di essere il Corvo a tre Occhi e, con fare criptico, dichiara “Le cose che facciamo per amore.”. Le ultime, famose parole del cavaliere prima di buttare il ragazzino giù da una torre.

Bran è diventato quello che è proprio grazie e a causa di quella caduta. Dal momento che non può più provare i sentimenti umani nella stessa concezione in cui li intendiamo noi, non potremo mai sapere se sia riconoscente a Jaime oppure lo incolpi per quello che gli è successo. Tirando a indovinare si può supporre un po’ entrambe.

La sorpresa di Jaime è tuttavia giustificata: Bran non ha rivelato a nessuno che è stato proprio il Lannister a gettarlo giù dalla torre che gli ha precluso per sempre la capacità di correre e camminare. Una sua parola sarebbe bastata a Daenerys per condannare Jaime. Ma non può combattere per loro se prima verrà giustiziato e questa è la ragione per cui l’ultimo figlio vivente di Ned e Catelyn Stark non ha rivelato le colpe di Jaime Lannister. Gli ha offerto, che lui lo sappia o meno, l’ennesima occasione di redimersi, agli occhi degli Stark e dei Regni degli Uomini.

AND NOW MY WATCH BEGINS (DI NUOVO)

Credits: HBO

Sulla scia delle reunion che continuano, Tormund, Edd e Beric arrivano a Winterfell, portando le nefaste notizie dell’avanzata dell’esercito dei non-morti. Tutti erano stati creduti morti in seguito alla caduta della Barriera e del castello di Eastwatch quindi è un sollievo per Jon poter riabbracciare i propri fratelli. Tra le scene più intense dell’episodio c’è proprio quella di Edd, Sam e Jon (e Spettro!) sulle mura della città. La loro avventura è iniziata quando sono entrati a far parte dei Guardiani della Notte ma la loro “guardia” ricomincia ancora una volta, come sottolinea Edd.

È commovente pensare a quante avventure hanno vissuto questi personaggi, cosa hanno affrontato e come sono riusciti a cavarsela nonostante le avversità. Certo, hanno perso “pezzi” per strada, compagni caduti per difendere i Regni dei Vivi. Lo zio Benjen, Pyp, il Comandante Mormort, Grenn. La loro guardia potrà essersi conclusa ma quella di Jon e degli altri non ancora. Non finchè ci saranno persone da difendere e loro avranno fiato per farlo.

UNA LADY MORMONT E UNA LADY STARK
sansa e daenerys
Credits: HBO

Sulla scia di reunion che aspettavamo (anche se non sapevamo di averne bisogno) ci sono altri due momenti davvero belli. In primo luogo il confronto tra la piccola Lyanna Mormont e Jorah. I due, sebbene abbiano più l’età di un padre/nonno sono in realtà cugini (Lyanna è la figlia della sorella di Jeor Mormont, il comandante dei Guardiani della Notte, padre di Jorah). Il consigliere di Daenerys suggerisce alla sua Signora di restare nelle cripte, con le donne ed i bambini, ma non esiste al mondo che Lyanna Mormont non resti a combattere con i propri uomini. A combattere e morire con loro, se necessario.

LEGGI ANCHE: Re Aerys II – Chi era il Re Folle uccido da Jaime Lannister?

Anche Jorah si rende velocemente conto del fatto che lo spirito dei Mormont è impavido in sua cugina e non insiste. In fondo, è lei la signora della sua casata, l’ultima discendente dei Mormont. Lyanna è riuscita a risollevare l’orgoglio e l’onore di una casata il cui nome lui aveva contribuito ad infangare con le sue azioni.

Emozionante è altresì l’incontro tra Sansa e Theon. I due si sono lasciati dopo essere scappati da Ramsey per seguire strade molto diverse. Ma Theon è cambiato, nonostante tutto, anche se la strada della redenzione non si è ancora conclusa per lui. Ha salvato Yara, è vero, ed ora è tornato a Winterfell per combattere al fianco di Sansa e di Bran, a cui aveva così spregevolmente sottratto il castello. Sono molte le colpe che Theon deve espiare, forse troppe per non concludersi con una sua dipartita proprio sotto le mura della città in cui è cresciuto ed che poi ha tradito.

GLI ADDII SULLE MURA DI WINTERFELL

Credits: HBO

Ma arriviamo al preludio della battaglia. Mentre Missandei e Verme Grigio si salutano, con la promessa di andare a Naath dopo la fine della guerra (sappiamo tutti che uno o entrambi moriranno, vero?) e mentre Sansa e Theon mangiano zuppa, Samwell Tarly dona a Jorah una spada con acciaio di Valyria. Perché è importante? In primo luogo per la profezia di Azor Ahai ma principalmente per la fiducia che Sam pone nelle mani di uno dei più fedeli servitori della donna che gli ha ucciso padre e fratello.

Non credo che Sam sia stupido, sa perfettamente che quella spada non avrebbe nessun uso nelle sue mani, non servirebbe a svoltare le sorti della battaglia. Ma nelle mani di uno spadaccino come Jorah, che ha sconfitto uno dei Dothraki in un duello e che ha sempre dimostrato di essere un guerriero eccellente? Oh si, nelle sue mani quella spada potrebbe essere più che fondamentale!

Tre sono tuttavia le scene fondamentali, prima dell’inquadratura dell’esercito dei non morti. Una si svolge in qualche angolo dimenticato del castello; una nella Sala grande (o come si chiama) del castello e una nelle cripte, davanti alla statua di Lyanna Stark.

“TU HAI UNA FIGLIA, IO UN FIGLIO: UNIAMO LE NOSTRE CASATE”
game of thrones 8x02 recensione
Credits: HBO

In fondo, Robert Baratheon l’aveva detto nel pilot, no?

Arya e Gendry si sono scambiati occhiatine e frecciatine fin dal momento in cui si sono ritrovati a Winterfell. A differenza di Sansa, Arya non è mai stata la sognatrice o la Lady che pensava al matrimonio o ai figli. Aveva smentito il tutto ancor prima della morte di Ned, quando aveva detto al padre che una vita da Lady in un castello non faceva per lei. Ma ha trovato la sua strada. Si è allenata, è diventata un’abile guerriera e ha chiesto ad un “amico” di fabbricarle un’arma che le permettesse di combattere con la stessa tecnica che usano gli altri con la spada. La sua arma di scelta? Un bastone con due punte di vetro di drago alle estremità.

Ma l’interesse per la sua arma sfuma abbastanza velocemente e, dopo aver scoperto che Gendry è il bastardo di Robert Baratheon, la ragazza confessa quello che le frulla davvero nella testa. Stanno per morire, potrebbe essere la loro ultima notte in vita. Cosa ha voglia di fare? Quello che non ha mai fatto e che, viste le sue aspettative di vita, probabilmente non potrebbe più avere occasione di sperimentare: sesso.

Non è un atto romantico, almeno non nel senso tradizionale del termine. Arya è una donna forte ed indipendente, con uno scopo, che sceglie il come, il quando ed il con chi. Tutte cose per cui Sansa o Daenerys darebbero un occhio della testa, con il senno di poi. Non che Gendry abbia di che lamentarsi: è forse uno dei pochi che passa la nottata con una donna tra le braccia.

Il titolo dell’episodio 8×02 di Game of Thrones è “A Knight of the Seven Kingdoms”.

Perchè è importante? Perchè fin dal primissimo giorno in cui abbiamo conosciuto Brienne, quando ancora combatteva per Renly Baratheon e faceva parte della Guardia del Re, voleva diventare un cavaliere. Peccato che non ci fossero cavalieri donna nei Sette Regni – almeno fino ad ora. Sebbene sperassi in qualcosa di più romantico per quella che temo essere l’ultima sera che Jaime e Bienne passeranno insieme, credo non ci potesse essere una conclusione più degna di questa per la loro storia.

Jaime nomina Brienne cavaliere, davanti ad un gruppo improbabile di spettatori – tra cui Tyrion, che si alza in piedi per assistere, Jorah, un orgoglioso Podrick e ser Davos. Nessuno è tuttavia più felice di Tormund, che applaude entusiasta ad un evento il cui valore probabilmente non comprende neppure fino in fondo.

La nomina di Brienne offusca perfino la battaglia che sta per arrivare. Perché? Perché in un mondo che è sempre stato dominato da uomini, anche se ormai si trova al limitare di un precipizio, le donne hanno trovato un modo per emergere. Donne che si sono costruite un destino sconfiggendo le avversità, come Daenerys e Sansa; donne che hanno imparato a combattere, anche quando altri dicevano che non ce l’avrebbero mai fatta, come Brienne e Arya; donne che hanno imposto il proprio comando in contesti maschilisti e narcisisti, come Cersei e Yara.

Brienne è in quella scena non soltanto la prima donna dei Sette Regni a diventare un cavaliere. È un simbolo, reso tale proprio dall’uomo che ha imparato ad amare e rispettare nel corso delle loro mille avventure. Jaime riesce, dopo chissà quanto, a far sorridere Brienne. Ed è una gioia per gli occhi.

Ultimo ma non meno importante è l’avvenimento che mette finalmente Daenerys davanti ad una scomoda e quanto mai pericolosa verità. Guardando la statua di Lyanna Stark, Jon – che è passato dal tenere al caldo la sua regina a trattarla come un ghiacciolo – confessa alla sua amante/zia di essere Aegon Targaryen, legittimo erede dei Sette Regni.

Ovviamente le reazioni di una ragazza che si è sempre sentita in diritto di fregiarsi del titolo di Regina sono comprensibili. Inizialmente Daenerys è incredula e subito dopo scettica. Insomma, comodo che gli unici in grado di confermare qualcosa che nessuno ha mai saputo siano proprio il fratello ed il migliore amico del presunto erede al trono di Spade. Perfino il tempismo della conversazione è ideale: i due non hanno il tempo di discutere realmente di ciò che la discendenza di Jon comporti perché un corno annuncia l’arrivo degli estranei.

LEGGI ANCHE: La Ribellione di Robert: La vera storia di Lyanna Stark e Rhaegar Targaryen

Avrei sperato in un confronto più teso, più lungo, in cui i due discutessero realmente delle ramificazioni del fatto che Jon sia un Targaryen. In fondo, senza considerare l’incesto, la legittimità di Jon vanifica la pretesa al trono di Dany, in maniera non troppo dissimile da come era accaduto per Renly e Stannis. I due erano fratelli, certo, mentre in questo caso è come se si parlasse del Principe George e del piccolo Baby Sussex.

In conclusione un episodio molto più ricco ed intenso della premiere, che riporta finalmente il focus su quello che era riuscito a rendere Game of Thrones una serie tv così amata e così fondamentale sullo sfondo televisivo internazionale. Certo, i dialoghi continuano ad essere un po’ fiacchi, a mio avviso, ed è evidente che il tentativo è quello di lasciare che siano le situazioni a creare il pathos necessario. Purtroppo non è sufficiente e si sente la mancanza di dialoghi scritti bene e pieni di sentimento.

Grazie all’episodio 8×02 di Game of Thrones possiamo finalmente dire che quasi tutti i nodi sono venuti al pettine, o almeno i nodi più grossi. Dal discorso di Daenerys e Sansa, per esempio, sappiamo che nemmeno la battaglia con i non-morti risolverà la questione del Nord e della sua sovranità. Non sappiamo neppure come riusciranno i sopravvissuti di questo scontro ad eliminare Cersei, che in questo episodio è giustamente assente, circondata dai mercenari della Compagnia Dorata e dai suoi sogni di elefanti.

Abbiamo una settimana per prepararci alla battaglia di Winterfell. Allacciate i mantelli e lucidate le spade: ci saranno parecchi addii molto, molto presto.

https://www.badtv.it/2019/04/game-of-thron...-la-recensione/

CITAZIONE
Nel tentativo disperato di evitare che la notte eterna degli Estranei si abbatta su Westeros, tutti i protagonisti affrontano a Grande Inverno la propria, piccola notte senza fine. A Knight of Seven Kingdoms è l’episodio dell’attesa, grave e insostenibile, per la marea di ghiaccio che si abbatterà sul castello. Difensori, regnanti, cavalieri, figure cadute in disgrazia che attendono solo un atto eroico sul quale immolarsi in sacrificio, aspettano l’arrivo della fine. Il secondo episodio dell’ultima stagione di Game of Thrones conferma l’approccio attendista e preparatorio della prima puntata, ma ne esalta la necessità. Tutto è inevitabile, tutto si sta compiendo, tutto incalza verso un culmine drammatico che, come chiarisce Bran, non necessariamente ammette l’esistenza di un futuro.
La scrittura di Bryan Cogman si inserisce nel solco della première. Ne rappresenta il completamento necessario, la chiusura dei conflitti ancora sospesi o dei rapporti da portare al livello successivo e definitivo. Dunque da un lato è quasi una seconda parte della première, ma dall’altro è anche il capitolo centrale di una trilogia ideale che corrisponde alla prima metà della stagione (provate a immaginarlo come un film di tre ore), e che culminerà nella battaglia della prossima settimana. Sospeso – logicamente – l’altro centro di potere ad Approdo del Re, tutti gli eventi si svolgono a Grande Inverno, raccontando l’attesa spasmodica per l’invasione dei morti da Nord.

Qui si concentrano i percorsi di decine di personaggi giunti nello stesso luogo tramite i percorsi più imprevedibili e le strade più impervie. E torna ancora quella sensazione di un immenso calderone dal quale estrapolare le combinazioni di personaggi più interessanti, coloro che hanno ancora qualcosa da dire l’un l’altro. C’è un piacere palese nella scrittura che si diverte a chiudere parentesi, a formulare giudizi definitivi, a trarre un bilancio delle esperienze precedenti rispetto ad uno scontro che sa di chiusura. Nella maggior parte dei casi i dialoghi sono, infatti, aperti, diretti, privi di sotterfugi e dei non detti che hanno caratterizzato da sempre la scrittura degli intrighi. L’unica eccezione dell’intero episodio è rappresentata dallo scambio tra Daenerys e Sansa circa il futuro del Nord, ma appunto è solo un’eccezione, non sappiamo nemmeno quanto consapevole a questo punto.

La battaglia contro gli Estranei esercita una forza attrattiva irresistibile che annienta – giustamente – ogni possibile deviazione dal selciato. Game of Thrones a questo punto si narra da sé, eppure nei momenti migliori cavalca l’onda degli eventi con eleganza e piacere della narrazione. Certo meno maldestramente della scorsa settimana. Ennesima conferma che il giudizio non dovrebbe basarsi sul numero di eventi sconvolgenti, quanto sulla qualità dei dialoghi e sulla credibilità dell’intreccio. Ecco quindi che l’arrivo di Jaime alla fortezza e il relativo breve giudizio su di lui si esaltano grazie all’annotazione di Bran “le cose che facciamo per amore”, che ci riporta al pilot. Ecco l’emozionante scena che dà il titolo all’episodio, in cui Brienne riceve il cavalierato. Ecco i lampi di leggerezza da parte del Mastino – che blocca sul nascere un monologo di Beric Dondarrion – e del solito Tormund.

E, complice l’oscurità crescente, su tutto cade una patina di fatalismo, l’idea di un preludio a qualcosa che sarà comunque definitivo. Certo, è abbastanza ridondante Tyrion che alza il calice in ricordo dei vecchi tempi ricordando “quanto siamo cambiati”, ma c’è anche un senso di calore e familiarità nei momenti con Jaime e il resto delle persone che si uniranno. Arya e Gendry finalmente si ritrovano, e anche qui al momento della consegna dell’arma tutto va come previsto (alla fine le casate Baratheon e Stark si sono davvero unite). C’è un momento utile a ricordarci la parentela tra Jorah Mormont e sua cugina Lyanna, poco prima che Sam consegni la spada in acciaio di Valyria della propria famiglia al cavaliere.

Difficile prevedere quanti cadranno la prossima settimana (l’episodio durerà un’ora e venti) e soprattutto chi non vedrà l’alba. Un dialogo tra Verme Grigio e Missandei in cui programmano il futuro ci fa temere il peggio; sembrano in pericolo personaggi come Beric o Podrick o lo stesso Jorah, mentre l’importanza rinnovata del Corvo a Tre Occhi dovrebbe tenerlo al sicuro; le cripte sono state definite troppe volte un luogo sicuro per esserlo davvero. Momenti che sembrano omaggiare il Fosso di Helm del Signore degli Anelli ci confermano quella che probabilmente sarà la più importante fonte d’ispirazione, mentre Podrick che canta ci ricorda Pipino nel Ritorno del Re. La canzone è un singolo interpretato dai Florence + the Machine.

Consapevolmente, la scrittura evita per tutto l’episodio il confronto diretto tra Jon e Daenerys. Non uno sguardo del primo nei confronti della seconda, solo manifestazioni di volontà occasionali cui segue un rapido allontanamento. Li ritroviamo, in una chiusura che ci riporta di fronte alla tomba di Lyanna, con il primo che svela alla seconda la verità. Non il momento migliore probabilmente per farlo, ma in fondo la stessa Daenerys sembra più colpita dalla perdita della legittimità al Trono che dall’incesto. In ogni caso si pone inevitabilmente un conflitto che trascende l’arrivo degli Estranei e che richiederà, così come l’indipendenza del Nord, di essere trattato dopo la battaglia. In caso contrario, solo la morte violenta di Jon potrebbe risolvere automaticamente ogni contrasto, con Daenerys a concedere per riconoscenza l’indipendenza al Nord concentrandosi solo sul Trono.

Ma questi sono solo voli di fantasia. Intanto la battaglia ha inizio.

e questa volta nessuna è davveroc riticabile, complice anche un secondo episodio non privo di debolezze, ma più equilibrato del primo, praticamente tutti i personaggi davvero fondamentali hanno avuto una parte in esso, a volte il momento di gloria è stato breve, ma c'è stato, ed è stato glorioso :asd: dedicare gran parte dell'episodio al rapporto di jaime con gli altri ha dato spazio a molti, ed è rimasto tempo per gli altri, alcuni singolarmente, altri nella "notte prima della battaglia" e suppongo che per parecchi di loro il prossimo episodio sarà l'ultimo, l'esercito del Re della Notte è arrivato
 
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view post Posted on 29/4/2019, 23:52
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8x03 The Long Night

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CITAZIONE
La neve cade sui vivi e sui morti, nella lunga notte di Grande Inverno. E ha la forza di un cataclisma naturale questa valanga che si abbatte contro la fortezza degli Stark nell’episodio forse più atteso di sempre per Game of Thrones. La regia di Miguel Sapochnik rappresenta allora il tentativo di imbrigliare nel tumulto della battaglia la furia degli elementi stessi che incarnano uno scontro che vive di opposti: il caos e l’ordine, la notte e la luce, le ossa e il sangue, i morti e i vivi e, non ultimi, il ghiaccio e il fuoco. Fatica produttiva di portata storica, climax assoluto per l’anima high fantasy della serie, The Long Night è il culmine della prima metà dell’ultima stagione, una puntata che riesce a cavalcare la propria natura di evento televisivo per diventare tragedia umana condivisa.
Benioff e Weiss firmano l’episodio e spingono fino alle sue estreme conseguenze la strenua lotta contro la minaccia degli Estranei. Le forze ancestrali che popolavano i miti del nord diventano realtà nell’attacco a Grande Inverno. Da un lato il Re della Notte a cavalcioni di Viserion, con il suo esercito immane pronto a dilagare. Dall’altro la disperata difesa da parte dell’alleanza più improbabile: Targaryen, Stark, Lannister, rinnegati, cavalieri, uomini e donne caduti in disgrazia, tutti a fare fronte comune contro il nemico.

Le mani tremanti di Sam aprono l’episodio, che prosegue con una panoramica sugli ultimi spostamenti decisivi all’interno della fortezza. Theon presiede il gruppo di difesa che scorta Bran sotto l’albero-diga; Tyrion si dirige verso le cripte, dove lo raggiungerà Sansa e dove si riunirà con Missandei e Varys; Lyanna Mormont grida gli ultimi ordini. Di fronte alla fortezza si trova la linea degli Immacolati, guidati da Verme Grigio, e dei Dothraki, tra i quali spiccano Jorah e Spettro. Arya, Beric, il Mastino sono le schegge lanciate dalla battaglia: loro sarà la prospettiva più dinamica sull’assedio del castello. Jaime e Brienne sono sui bastioni. Jon e Daenerys si accostano allo scontro da una prospettiva privilegiata, consapevoli del fatto che dovranno salire in groppa a Drogon e Rhaegal per aiutare dall’alto.

Nella battaglia del Fosso di Helm, per esplicita ammissione il punto di riferimento principale della regia dell’episodio, la pioggia scrosciante dava il via all’attacco. Qui c’è l’intuizione di trasformare quell’accostamento ideale in un puro mezzo narrativo, con la neve che diventa arma concreta nelle mani del Re della Notte. Tutto l’episodio gioca, infatti, sulla contrapposizione più che ideale tra le forze della natura che diventano risorse per i campioni dei rispettivi schieramenti. Melisandre arriva a sorpresa e reca con sé il dono del fuoco, che per due volte utilizzerà per contrastare l’orda dei non-morti. Stavolta, davvero “la notte è oscura e piena di terrori”.

Ma più in generale è l’intera portata dell’assedio e delle fasi della battaglia ad essere definita in base ai rapporti di forza tra il ghiaccio e il fuoco, tra l’ombra e la luce. I draghi di Daenerys illuminano letteralmente la battaglia, ma sono anche l’argine infuocato che ritarda il capitolare dei vivi. La carica – strategicamente poco logica – e la sconfitta dei Dothraki vengono narrate in due momenti di efficace sintesi visiva che giocano sul movimento e lo spegnimento dei fuochi. I lampi lunari azzurri che illuminavano la battaglia del Signore degli Anelli qui vengono rimpiazzati dai fuochi interni al castello – normalmente un elemento distruttivo, qui invece sono la speranza – e pure nella crescente composizione caotica delle scene il leitmotiv rimane lo stesso.

La narrazione strategica dello scontro che tanti anni fa aveva accompagnato la battaglia delle Acque Nere lascia allora il posto ad una visione disperata e informe, quasi indistinguibile in certe fasi dello scontro (forse troppo), che avrebbe qualcosa dei Sette Samurai. E non è solo il punto di vista di Jon Snow che cerca di rifiatare a definire la battaglia, ma una vera narrazione condivisa, anticipata dalla regia della prima scena, che si accosta ora a questo ora a quell’altro personaggio. Allora, da Jon a Arya a Sansa a Bran – solo per citare gli Stark – il ritmo di ogni momento è determinato dal punto di vista parziale di ognuno.

Jon e Daenerys appaiono spesso avulsi dallo scontro, in parte perché ovviamente lo sono. La scrittura fatica a tenere a freno la rabbia di cui vorremmo vederli caricati, anche se alcuni momenti oltre le nuvole sono tra i migliori dell’episodio (una vera “danza dei draghi”). Sansa, come Cersei tanto tempo prima, non può fare altro che rifugiarsi dove crede di essere al sicuro insieme agli altri personaggi che non possono aiutare durante la battaglia. Le cripte, come ampiamente previsto, non sono poi così sicure, ma anche qui c’è un bel momento di silenzio tra lei e Tyrion. Bran è una funzione narrativa che non incide positivamente, se non come esca, sulle sorti della battaglia. Ci aspetteremmo qualcosa da parte sua (magari prendere possesso di un drago) ma non farà molto.

Arya è non solo il personaggio più determinante, ma è anche il punto di vista più stimolante sull’intera battaglia. Personaggio evidentemente amatissimo dagli autori, rappresenta la migliore sintesi nella gestione del ritmo narrativo che passa da picchi di ampia messa in scena a momenti più raccolti e carichi di tensione. A lei appartiene un bel momento di battaglia sui bastioni, suo è il momento più silenzioso e horror dentro il castello, e si rievocano un paio di frasi storiche (“Stick them with the pointy end” e “What we say to the god of death?”/”Not today”). E, nel momento culminante, quando ogni speranza è congelata, è lei a colpire a morte il Re della Notte. La daga che anni prima aveva quasi ucciso Bran ora gli salva la vita.

Questa rimane la battaglia degli Stark, con i vari Brienne, Verme Grigio, Jaime, perfino Sam a battersi con furia ammirevole, ma sempre costretti all’angolo dai nemici e dalla scrittura dell’episodio. Perfino Daenerys appare impotente per buona parte dello scontro. Manca la morte eccellente a coronare tutto, ma i protagonisti lasciano sul campo vari personaggi. Game of Thrones contraddice in parte il proprio stile, non se la sente di togliere la dignità, oltre alla vita, a questi coprotagonisti, e riserva a tutti loro una bella uscita di scena. Jorah e Theon chiudono il loro percorso di redenzione, sacrificandosi per le persone che hanno deciso di proteggere. La morte di Lyanna Mormont è un colpo al cuore, ma anche lei se ne va – su un momento che ricorda L’attacco dei giganti – confermandosi molto coraggiosa. Addio anche a Edd e Beric, ampiamente sacrificabili. E muore, come lei stessa aveva predetto, Melisandre.

Con la morte della sacerdotessa, che riconosce l’importanza di Arya nel momento in cui afferma che Beric ha compiuto il proprio compito salvandole la vita, si chiude un blocco intero della storia del Trono di Spade. Quello più mitico, epico, magico. Termina, forse con un tradimento di aspettative e profezie, la vicenda di Azor Ahai, che infine non sembra corrispondere né a Jon né a Daenerys. Game of Thrones chiude la storia degli Estranei che fin dall’esordio ha rappresentato la minaccia latente e subdola, l’orrore che arrivava silenzioso mentre tutte le Casate erano impegnate a massacrarsi a vicenda. Con tre episodi a disposizione, la storia riprende fiato e prepara lo scontro finale con Cersei.

molti fan sono rimasti più o meno delusi da questo episodio, c'è chi critica la scelta di una battaglia al buio (che ha però sicuramente permesso di risparmiare sugli effetti speciali, hanno ancora 3 episodi ) c'è chi critica questa o quella scena (sopratutto la morte, sia pure gloriosa, della piccola Mormont :asd: ) c'è chi fa presente l'insensatezza della carica isolata dei Dothraki, sia pure muniti di spade fiammeggianti, visto che erano guerrieri che avrebbero fatto comodo anche per difendere le mura, c'è chi critica la sbrigatività con cui una guerra che dura da migliaia di anni sia stata conclusa, anche se si poteva prevedere che era Arya, il "sicario" preparato per eliminare il Re della Notte, non solo per la profezia di Melisandre sul fatto che avrebbe ucciso anche "occhi azzurri", ad addestrare Arya è stato il culto della morte, un dio che non poteva ammettere l'abuso dei morti fatto dal Re della Notte, e a quanto pare anche la stessa Melisande era un'arma preparata dal culto del fuoco contro il Re, ed esaurito il suo compito può finalmente rinunciare alla amgia che la tiene in vita, altri lamentano che in fondo il ruolo di Jon e Daenerys sia stato un pò troppo esterno allo scontro (su questo non sono d'accordo, anche se penso che Jon come pilota di draghi potesse fare di meglio :asd: ) o il fatto che i terribili white walkers siano in realtà stati a guardare l'operato dell'esercito dei morti, e si siano limitati a scortare il loro capo da Bran, facendosi però sorprendere da Arya (e qui effettivamente la storia ha delle toppe, Arya riusciva a stento a nascondersi ai non morti, come ha fatto a sfuggire ai sensi dei white walkers?) anche se i più delusi sono stati tutti i fan che avevano elaborato teorie sul legame fra Bran e il Re della Notte, non c'era nessun legame particolare :asd: e su una cosa sono d'accordo, volendo di cose da criticare se ne trovano (anche l'eccesso di scene prese di sana pianta da film del genere zombie, anche se non sono certo un cultore de genere alcune le ho riconosciute) e tutto poteva essere fatto,se non meglio, anche in altri modi, ma volendo giudicarla obbiettivamente, non hanno fatto un cattivo lavoro, Dothraki a parte (spero che Daenerys non li avesse portati tutti)
 
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2x04 The Last of the Starks

CITAZIONE
Dopo l’esaltazione di potenza visiva e cinematografica messa in atto da Miguel Sapochnik nell’episodio 3 The Long Night (a quando un lungometraggio ad alto budget per lui?), David Benioff e D.B. Weiss tornano alla sceneggiatura – non ci lasceranno più, accompagnandoci fino all’ultimo episodio, per il quale cureranno anche la regia – riprendono il discorso shakespeariano già introdotto da Bryan Cogman in A Knight of the Seven Kingdoms e si assumono il compito e di chiudere vecchi discorsi lasciati in sospeso e di aprirne altri che troveranno risoluzione nei prossimi 160 minuti di narrazione.

Questo ampio respiro per recuperare dall’affanno e riempire i polmoni era narrativamente fisiologico – l’episodio della prossima settimana sarà un’altra battaglia – e anche se le atmosfere evocate sembrano un riciclo dell’episodio due, Benioff e Weiss sono bravissimi a portare vari passaggi di trama dove desiderano che vadano, ripartendo dalla prima alba dopo l’eterna notte che ha visto gli umani sopravvivere (e sconfiggere) gli Estranei: politicamente parlando la scelta di chiudere l’arco narrativo del Re della Notte a metà della stagione finale è davvero sorprendente e ammirevole – gli Estranei sono solo un altro ingranaggio della famosa ruota di Daenerys, in fin dei conti anche loro volevano il potere assoluto su Westeros – ma è ancor più chiaro il senso metaforico del prossimo scontro che attende i protagonisti della serie: nel cuore degli uomini la brama di conquista e dominio sociale trascende la Morte stessa, e il gioco del trono non può fermarsi neanche di fronte all’apocalisse.

In questo senso il ritorno a quelle situazioni tipiche delle prime stagioni, fatti di intrighi e tradimenti e strategie segrete (con la dicotomia fra Varys e Tyrion estremizzata più che mai in una splendida scena, la migliore della puntata, che sembra stata scartata dal Macbeth) che già si era intravisto nel primo e nel secondo episodio qui funziona benissimo, e perché arriva all’indomani di un enorme cambiamento tematico/presa di posizione politica (la morte del Re della Notte) e perché – soprattutto – focalizza tutta l’attenzione su quello che è il vero tema centrale di quest’ultima stagione: l’incontro e l’unione fra Daenerys Targaryen e Jon Snow, letterali incarnazioni del Ghiaccio e del Fuoco.

La convivenza fra i due, descritta quasi come un idillio nel primo episodio, va ad incrinarsi di scena in scena e – in assenza del pensiero di George R.R. Martin, così incagliato com’è nella stesura dei romanzi – appare chiaro come almeno per Benioff e Weiss i due elementi decantanti dalle famose Cronache che hanno dato il là alla serie HBO non possano coesistere, per lo meno non pacificamente. O comunque non se incarnati da due corpi politici così diametralmente distinti: l’aggravante è poi che Ghiaccio e Fuoco, come abbiamo scoperto, sono andati effettivamente a confluire in una singola persona, ma non è quella che sperava Daenerys.

Tutta la puntata a ben vedere è giocata sullo stabilire rapporti dicotomici, e oltre alle due coppie già citate (Daenerys/Jon, Tyrion/Varys) passiamo da Jaime e Brienne a Cersei a Euron – splendide e notevoli le due morti illustri della puntata, hanno il retrogusto amarognolo dei colpi di scena delle prime stagioni – da Arya a Gendry (o Arya e il Mastino) a Daenerys e Sansa, senza dimenticare ovviamente tutti i contrasti interni fra gli Stark e i Lannister (la sotto-trama di Ser Bronn delle Acque Nere è stata gestita piuttosto frettolosamente, ma la scena in sé svolge bene il proprio compito).

Dopo otto stagioni era anche giusto che la serie si prendesse un’intera puntata per mostrare i muscoli di una produzione i cui livelli non hanno precedenti sul piccolo schermo, ed è proprio questo che è stato fatto la settimana scorsa con The Long Night; che a quello spettacolo ne sia conseguito un momento di riflessione è lecito com’è lecito che spetti al prossimo episodio, ancora senza titolo, mostrare gli addi più significativi e il più emotivo fra i bagni di sangue: stando alle regole strutturali interne a Game of Thrones, del resto, i drammi più sconvolgenti sono accaduti sempre nel penultimo episodio di ogni stagione.

E che con due solo puntate rimanenti questa serie dia ancora la sensazione di avere molto altro da dire la dice lunga sull’ottima costruzione allestita da Benioff e Weiss.

in realtà l'episodio mis embra sia stato molto criticato e sia piaciuto a pochi, e anche se io sono fra quelli che l'ha apprezzato questa volta non considero (al contrario dell'episodio precedente) le critiche come pretestuose, gli sceneggiatori non hanno una traccia letteraria da seguire, e che navighino a vista con un certo affanno si era già notato nella stagione precedente, qui diventa evidente, e non basta un po' di sesso fanservice e di situazioni riprese dalle stagioni precedenti per tappare il buco, non solo le cose si potevano fare diversamente, si potevano sicuramente fare meglio, comunque il resensore è stato no spoiler, quindi non scenderò nei dettagli, limitandomi a dire che Danerys dovrebbe liberarsi dei suoi due astutissimi consiglieri che fanno sempre lo stesso errore, pensare che Cersei possa fare solo quello che è previsto nei loro piani, trascurando particolari che non sono certo irrilevanti, e con risultati disastrosi
 
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8×05 The Bells

CITAZIONE
Da molti anni a questa parte, ci viene ripetuto che, quando nasce un Targaryen, gli dei tirerebbero una moneta per decidere se questo sarà folle oppure no. Ciò, naturalmente, non è vero. Per come ce la racconta Game of Thrones, anche nel quinto – discutibile – episodio, la follia è una scelta. Troppo comodo sarebbe delegare le conseguenze di ogni decisione spaventosa e abominevole al capriccio degli dei. Esistono infiniti percorsi che ammettono egualmente la saggezza come la rabbia, la temperanza come la crudeltà. E che richiedono una responsabilità dietro quella scelta, anche per chi quelle storie è chiamato a scriverle. Apocalittico, spettacolare, frustrante e amarissimo, questo è The Bells.

Miguel Sapochnik torna per l’ultima volta a dirigere un episodio di Game of Thrones. The Bells, penultimo episodio della serie, non è tuttavia il corollario atteso a The Long Night, come si poteva immaginare alla vigilia. Non ne rappresenta una versione “diurna”, seppure per tutta la sua durata sia più spaventoso e oscuro. La battaglia contro gli Estranei aveva il privilegio di raccontare il proprio conflitto da una prospettiva più chiara, in cui il bene e il male erano rigidamente schierati. The Bells, che mostra l’assedio di Approdo del Re da parte della forze di Daenerys e Jon Snow, percorre un’altra strada. La guerra non come atto necessario e dovuto, eroico ed esaltante, ma come massacro indiscriminato e asfissiante.


BadTv.itRecensioni
Game of Thrones 8×05 “The Bells”: la recensione
di Simone Novarese
13 Maggio 2019 alle 16:05
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Spoiler
Il Trono di Spade - Game of Thrones
ideata da D.B. Weiss, David Benioff
HBO
tempo di lettura 5'

If you think this has a happy ending, you haven’t been paying attention…

Da molti anni a questa parte, ci viene ripetuto che, quando nasce un Targaryen, gli dei tirerebbero una moneta per decidere se questo sarà folle oppure no. Ciò, naturalmente, non è vero. Per come ce la racconta Game of Thrones, anche nel quinto – discutibile – episodio, la follia è una scelta. Troppo comodo sarebbe delegare le conseguenze di ogni decisione spaventosa e abominevole al capriccio degli dei. Esistono infiniti percorsi che ammettono egualmente la saggezza come la rabbia, la temperanza come la crudeltà. E che richiedono una responsabilità dietro quella scelta, anche per chi quelle storie è chiamato a scriverle. Apocalittico, spettacolare, frustrante e amarissimo, questo è The Bells.

Miguel Sapochnik torna per l’ultima volta a dirigere un episodio di Game of Thrones. The Bells, penultimo episodio della serie, non è tuttavia il corollario atteso a The Long Night, come si poteva immaginare alla vigilia. Non ne rappresenta una versione “diurna”, seppure per tutta la sua durata sia più spaventoso e oscuro. La battaglia contro gli Estranei aveva il privilegio di raccontare il proprio conflitto da una prospettiva più chiara, in cui il bene e il male erano rigidamente schierati. The Bells, che mostra l’assedio di Approdo del Re da parte della forze di Daenerys e Jon Snow, percorre un’altra strada. La guerra non come atto necessario e dovuto, eroico ed esaltante, ma come massacro indiscriminato e asfissiante.

Il preludio alla puntata vede l’esecuzione di Varys, colpevole di aver tramato ai danni di Daenerys. Tyrion e Jon sono toccati dal dubbio, ma non tanto da mettere in discussione la loro regina. Da una posizione di potere, Daenerys non concepisce la pietà per gli sconfitti, e ordina a Drogon di fare fuoco. Non lo sappiamo ancora, ma in questa parentesi iniziale c’è tutto l’episodio che andremo a vedere. Le forze combinate degli Stark e dei Targaryen cingono d’assedio la capitale. Ma è una lotta impari fin dal primo istante. La flotta di Euron Greyjoy viene distrutta in pochi minuti da Drogon, mai così inarrestabile. Gli scorpioni sulle mura, stavolta arricchiti da teste di leone, seguono la stessa sorte, ed esplodono tra le fiamme. La Compagnia Dorata è annientata senza difficoltà. L’esercito reale si arrende.

Per l’ennesima volta gli equilibri di forze si adattano alle esigenze della sceneggiatura. Dove la scorsa settimana Viserion veniva trafitto con semplicità dall’inarrestabile flotta di Euron, costringendo Daenerys ad una ritirata veloce, stavolta è tutto troppo semplice. Le difese della capitale crollano immediatamente, di fatto Daenerys conquista la città da sola, Cersei appare fin troppo inerte, lei che si è sempre aggrappata alla vita con ogni mezzo. Dimenticata la flotta di Yara, l’efficacia o meno degli scorpioni e la superiorità o inferiorità numerica degli eserciti, il peso specifico degli schieramenti perde di senso. Ogni personaggio è una scheggia che si muove alla cieca nel buio della battaglia, sempre manipolato dalla mano troppo veloce della scrittura.

The Bells è terra bruciata. Letteralmente, sui personaggi, sui loro percorsi, sui temi storici della serie.

Daenerys cede alla follia, dimentica ogni sentimento di pietà, massacra degli innocenti. “I do not have a gentle heart”, diceva a Jorah tanti anni fa. Tutto ciò che abbiamo visto in questa stagione prepara alla svolta nel personaggio, la perdita dei draghi, dei propri compagni più vicini, del proprio esercito, anche del proprio diritto a regnare. Ma è comunque difficile accettare una svolta così radicale in un personaggio che abbiamo seguito per otto stagioni. Daenerys è spesso stata spietata in passato, e ha ordinato delle punizioni esemplari, ma qui infierisce consapevolmente su degli innocenti.

Va riconosciuto a Game of Thrones il coraggio di provocare e smentire ancora una volta, a due passi dalla conclusione, i ruoli affermati di eroe e villain. Eppure Daenerys era già un simbolo di rottura delle convenzioni. Era lei a dover “spezzare la ruota” del potere, principale personaggio (femminile) in un mondo in cui tanti protagonisti sono riusciti a forgiare il proprio destino da soli, contro tutti i pronostici e i ruoli che la vita aveva loro assegnato. Eppure anche lei, come Cersei, al momento decisivo è solo un involucro svuotato di razionalità, puro istinto. Figlia di suo padre, certo, ma questo non importa. In otto stagioni Daenerys si è guadagnata il diritto, e il dovere, di essere giudicata come individuo, e non come semplice Targaryen. È passata attraverso consiglieri più o meno fidati, atti di crudeltà più o meno necessari, ma tutto ciò serviva a prepararla a decidere nel momento in cui si sarebbe trovata senza una “voce della coscienza”.

Quel momento è arrivato, e Daenerys ha deciso così.

Negli anni a venire, quando ripenseremo a questo episodio di Game of Thrones, lo ricorderemo come la puntata in cui Daenerys cede alla follia. Eppure il suo personaggio appare poco in scena, e parla anche meno. E non è l’unico. In effetti, a chi appartiene davvero questo episodio? Non certo a Jon, continuamente trascinato dagli eventi e incapace di parteciparvi. La sua dedizione nei confronti di Daenerys ha un senso, così come la sua rinuncia al potere, ma è un peccato che il suo unico grande atto nella stagione sia stato quello di svelare il proprio segreto.

Nemmeno a Tyrion, che da due stagioni prova ad influenzare le decisioni o i percorsi altrui, senza riuscirvi o commettendo errori. L’addio con Jaime, di cui entrambi sono consapevoli, è comunque uno dei momenti più emozionanti dell’episodio. Forse potrebbe essere un nuovo episodio di Arya, che giunge ad Approdo del Re per uccidere Cersei, ma anche lei si ferma sulla soglia e torna indietro, testimone come tanti dell’orrore della guerra. E Cersei? Lei stessa subisce tutto ciò che accade, sembra quasi distaccata. Lena Headey è straordinaria, si cala tra le fragilità del personaggio e ci chiede di provare pietà: il bello è che ci riesce. Una volta lasciata Brienne, Jaime sembra aver assolto al proprio compito come personaggio. Non c’è rabbia, né liberazione, né confronto, solo la morte.

In realtà l’episodio non appartiene davvero a nessuno. E ciò lo rende il più disumano mai visto nella serie. In una storia che è sempre stata trascinata dalle sue grandi individualità, The Bells è puro caos, puro orrore distruttivo, illogico e spaventoso come sempre è la guerra, almeno per chi la vive sulla propria pelle. Sapochnik (scrittura di Benioff e Weiss) ce lo racconta dal punto di vista della povera gente di Approdo del Re. Daenerys è inquadrata pochissimo, ma come detto questo episodio non esalta nessuno. Ciò che emerge è il furore nelle strade mentre divampano le fiamme, e c’è anche l’intuizione molto riuscita – ad un episodio dalla fine – di raccontarci la battaglia decisiva dal punto di vista di una donna senza nome di Approdo del Re.

Ci sono grandi idee di messa in scena e regia, come nel caso dello scontro fra i Clegane e la loro lotta iniziata e finita nel fuoco, o di Arya che fugge mentre il drago da lontano sta per calare sulla strada, o di Jaime che si aggira tra le segrete in cerca di un passaggio verso la luce che non c’è. Si realizza infine la visione avuta da Bran in The Lion and the Rose, con Drogon che vola sopra Approdo del Re e la cenere nella sala del trono.

Ancora una volta, tutto ciò che era riconducibile a schemi troppo semplici e riconoscibili è stato spazzato via. Questo non è affatto l’intreccio più soddisfacente che Benioff e Weiss avrebbero potuto concedere agli spettatori. Anzi, sembra esserci un certo gusto per la ricerca della frustrazione e del tradimento delle aspettative. Quale sarà l’eredità di questo episodio, che molto farà discutere e molto sarà odiato, lo potremo capire solo tornandoci a mente fredda, quando tutta la cenere si sarà posata.

Game of Thrones finisce la prossima settimana.

"Game of Thrones finisce la prossima settimana." e secondo la maggior parte dei commenti che ho letto in giro, è durato troppo :asd: se i primi 4 episodi avevano trovato comunque numerosi estimatori, questo l'ho visto sopratutto criticato
 
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8x06 The Iron Throne

https://serial.everyeye.it/articoli/recens...utto-43855.html

CITAZIONE
Dopo otto anni, otto stagioni e settantatre episodi, ci siamo: Game of Thrones, la serie tv più illegalmente scaricata al mondo, quella che ha tenuto milioni di persone incollate al piccolo schermo, che ci ha fatto lambiccare il cervello tra teorie improbabili e profezie poi mai avverate, la serie che ha reso l'allergia agli spoiler una vera e propria fobia collettiva si è conclusa. È stato un viaggio lungo, iniziato come un fedele adattamento di una delle più amate saghe fantasy contemporanee e poi proseguito oltre i romanzi di George R.R. Martin (che no, non ha ancora finito il sesto libro della saga, Winds of Winter, come ha confermato in un recente post sul suo blog), diventando un vero e proprio fenomeno di massa. Siamo passati dalle battaglie combattute off-screen perché troppo costose a battaglie costate quasi 15 milioni di dollari e girate in 55 notti, e ora siamo qui, a parlare dell'ultimo episodio di una serie che, a prescindere da quanto sia cambiata nel corso degli anni, ha comunque fatto la storia della televisione. Per l'ultima volta, l'immancabile disclaimer: attenzione, l'articolo contiene spoiler!

La fine dei giochi
Quindi, ricapitolando: Jon uccide Daenerys, il Trono viene distrutto da Drogon (perché ovviamente un drago è in grado di comprendere che è stata l'ossessione per il Trono a distruggere sua madre, certo), Bran viene eletto re perché è la memoria del mondo e quindi non può che regnare con saggezza, Tyrion diventa primo cavaliere (per la terza volta in vita sua: un record), Sansa ottiene l'indipendenza del Nord diventandone la regina, Arya va a esplorare il mondo e Jon, dopo essere stato condannato a tornare nei Guardiani della Notte, va nel profondo nord insieme ai bruti (e a Ghost, che finalmente tratta in maniera degna).
Prima di analizzare il destino dei personaggi e quello di Westeros, però, torniamo un attimo sulla puntata. "The Iron Throne", scritta e diretta dai creatori della serie Benioff e Weiss, riparte dalla devastazione di Approdo del Re, ridotta a un desolato ammasso di macerie ancora fumanti, con la cenere che continua a cadere sui cadaveri di centinaia di migliaia di innocenti mentre Jon, Davos, Arya e Tyrion si muovono verso la Fortezza Rossa (o ciò che ne resta).

Jon e Davos hanno un'ulteriore prova della svolta tirannica di Daenerys quando vedono Verme Grigio giustiziare dei soldati della Compagnia Dorata, mentre Tyrion piange sui corpi di Jaime e Cersei (e Peter Dinklage tanto per cambiare è perfetto nella sua interpretazione, e il dolore di Tyrion alla fine lo proviamo anche noi).
Dal punto di vista tecnico l'episodio non è perfetto come il precedente (che aveva ben altri problemi), ma ci regala una delle immagini migliori dell'intera serie: Daenerys che avanza nel cortile mentre dietro di lei Drogon spalanca le ali, facendola sembrare a sua volta un drago ("You're a dragon. Be a dragon", le suggeriva Olenna Tyrell nella scorsa stagione), un feroce angelo della morte. È un'immagine potente e terribile che precede un discorso altrettanto terrificante: quello di Daenerys è il discorso di un tiranno imperialista deciso a soggiogare un continente in nome di un disegno di giustizia nato come un'utopia e poi distortosi fino a diventare una neanche troppo velata promessa di morte e distruzione, di fuoco e sangue.

Jon e Davos hanno un'ulteriore prova della svolta tirannica di Daenerys quando vedono Verme Grigio giustiziare dei soldati della Compagnia Dorata, mentre Tyrion piange sui corpi di Jaime e Cersei (e Peter Dinklage tanto per cambiare è perfetto nella sua interpretazione, e il dolore di Tyrion alla fine lo proviamo anche noi).
Dal punto di vista tecnico l'episodio non è perfetto come il precedente (che aveva ben altri problemi), ma ci regala una delle immagini migliori dell'intera serie: Daenerys che avanza nel cortile mentre dietro di lei Drogon spalanca le ali, facendola sembrare a sua volta un drago ("You're a dragon. Be a dragon", le suggeriva Olenna Tyrell nella scorsa stagione), un feroce angelo della morte. È un'immagine potente e terribile che precede un discorso altrettanto terrificante: quello di Daenerys è il discorso di un tiranno imperialista deciso a soggiogare un continente in nome di un disegno di giustizia nato come un'utopia e poi distortosi fino a diventare una neanche troppo velata promessa di morte e distruzione, di fuoco e sangue.

The pack survives
Daenerys è morta, Jon è imprigionato e i sette regni non hanno un sovrano. Facciamo un salto in avanti di qualche settimana, con tutti i lord e le lady di Westeros riuniti alla Fortezza Rossa per decidere il destino del regno e dei prigionieri. Basta un discorso di Tyrion per mettere d'accordo tutti: è Bran il più adatto a diventare re di Westeros, e non importa se non può avere eredi; d'ora in avanti sarà il re con i lord e le lady di Westeros a selezionare il successore più adatto (e no, il popolo non avrà mai alcun potere decisionale: l'idea democratica di Sam viene accolta come una barzelletta da tutti i presenti, anche dalla meno classista Arya).
Jon, sulla cui discendenza si era tanto insistito, viene costretto a (ri)prendere il nero per evitare un incidente diplomatico con gli Immacolati, che in ogni caso poi partono alla volta di Naath per difenderla da eventuali invasori (con la loro partenza un po' viene da chiedersi che senso abbia quindi che Jon venga comunque esiliato al Castello Nero, ma ok).


Sansa chiede e ottiene la tanto agognata indipendenza del Nord, anche se fa un po' storcere il naso come gli altri lord presenti si limitino ad accettare la cosa senza avanzare proposte di indipendenza a loro volta, a maggior ragione considerando che in questo modo gli Stark sono ufficialmente la casata più importante dei sette regni, con una vera e propria egemonia su Westeros.
Ma è l'ultimo episodio e, come avevamo già detto la scorsa settimana, Game of Thrones ormai è nota per i suoi colpi di scena e la sua spettacolarità, non di certo per la profondità della sceneggiatura. E quindi non possiamo stupirci se anche il discorso politico ne risulta molto appiattito e di fatto più superficiale.


E a proposito degli Stark, è su di loro che si chiude la serie: su Sansa che viene incoronata e acclamata come Regina del Nord, i capelli sciolti come la regina Elisabetta I il giorno della sua incoronazione, lasciando presagire un futuro florido per il regno; su Arya che prende il largo per esplorare il mondo su una nave con il metalupo degli Stark che svetta sulla vela, lasciandosi alle spalle la sete di vendetta per tornare a inseguire i suoi sogni di bambina che voleva vivere avventure; su Jon che alla fine guida i bruti oltre la Barriera, lì dove aveva conosciuto l'amore e l'unico posto dove, forse, si si sia mai sentito veramente a casa. Il branco è davvero sopravvissuto.

Ma quindi... Bran?
Bran è il re dei sei e non più sette regni. Non Jon, che in ogni caso non voleva il trono, non Daenerys: Bran lo spezzato, il Corvo con tre occhi, lo storpio che conosce il passato e che quindi può dare a Westeros un futuro migliore. Era questa l'idea di Martin, e non ne dubitiamo; del resto a lui piacciono le storie circolari e il primo punto di vista che incontriamo nei libri dopo il prologo è proprio quello di Bran, quindi è facile immaginare che sarà proprio con un pov di Bran che si chiuderà la saga. Lo stesso Martin ha sempre affermato che le buone qualità di una persona non la rendono in automatico un buon regnante (pensiamo a Robert Baratheon: eroico, certo, ma comunque incapace a fare il re); Bran è al di sopra delle buone qualità perché è un libro di storia vivente, e conoscere gli errori del passato può aiutare a non commetterne in futuro (per quanto non sia comunque una garanzia).
E nella serie, Bran è al di sopra delle qualità ma anche dei difetti umani: non conosce la bramosia e l'ambizione di Cersei; non conosce la lussuria di Robert, la ferocia di Daenerys o il cieco onore di Jon. L'essere il Corvo con tre occhi lo rende davvero il miglior candidato al ruolo di re, ma essere al di sopra di qualità e difetti umani significa anche non conoscere la compassione o la misericordia. E può un re essere un buon re senza la compassione o l'empatia?

Cosa ci resta
Game of Thrones è finito. La serie dei record si è conclusa dopo una stagione molto discussa in cui Benioff e Weiss hanno premuto il piede sull'acceleratore per riuscire ad arrivare alla conclusione nel giro di sei episodi. Da questo punto di vista non possiamo dire che sia stata una ottima stagione, nonostante un lato tecnico spesso impeccabile o alcuni tra i momenti più toccanti della serie (la nomina di Brienne a cavaliere resta un punto altissimo non solo della stagione, ma dell'intera serie).


Siamo ben lontani dalla scrittura delle prime stagioni, a volte considerata persino troppo lenta ma che proprio per questo riusciva a dare il giusto spazio ai personaggi, dando loro modo di crescere con il dovuto respiro; ma Game of Thrones è diventata un grande spettacolo, votata più al plot twist che non a seguire i suoi protagonisti.
Se Martin avesse finito la saga in tempo, probabilmente non ci sarebbe stato questo cambiamento nella narrazione. Perché Benioff e Weiss hanno fatto un lavoro grandioso fintanto che hanno avuto un materiale da cui attingere, dei libri da adattare. Poi hanno superato i libri e sono andati un po' allo sbando, con un progressivo appiattimento dei personaggi in favore di momenti shock, colpi di scena e un finale già deciso da inseguire a tutti i costi.

Avremmo voluto delle stagioni finali narrativamente più in linea con quelle iniziali? Sì. Del resto è impossibile essere pienamente soddisfatti di una pizza surgelata dopo aver mangiato una vera pizza napoletana. Ma nonostante i difetti di scrittura e il ritmo accelerato, e a dispetto di una stagione conclusiva non all'altezza delle prime tre, Game of Thrones resta la serie che ha cambiato il nostro modo di vedere la tv; la prima serie che il pubblico ha vissuto come un blockbuster, la serie che più di qualunque altra ha fatto capire agli spettatori e agli stessi produttori tv che anche la televisione può essere come il cinema. Difficilmente assisteremo a un fenomeno globale di questa portata. And now our watch has ended.

www.badtv.it/recensione/2019/05/ga...-la-recensione/

CITAZIONE
Game of Thrones finisce così, oltre la Barriera, dove tutto era iniziato otto anni fa. Dalla neve era nato e alla neve ritorna. E nel mezzo c’è tutto il resto, anche nell’ultimo episodio della serie, intitolato The Iron Throne. C’è il gioco del trono, il potere inteso come responsabilità e maledizione, la strenua lotta contro il destino, il tentativo di autodeterminarsi, le affermazioni assolute, il sacrificio finale e, talvolta, la speranza in un mondo migliore. La serie tv più importante degli ultimi dieci anni termina su una nota dolceamara, come era logico attendersi, a modo suo inevitabile, date le premesse. Il Trono di Spade si scioglie, la ruota non viene spezzata, una “bella storia”, come la definisce Tyrion, arriva alla conclusione.
Proprio Tyrion apre l’episodio. Cammina tra cenere e morte tra le mura di un Approdo del Re irriconoscibile, si cala nelle segrete della Fortezza Rossa, qui rinviene i cadaveri di Jaime e Cersei, piange lacrime di dolore. Tutta la facilità con cui si compiono i passaggi nella scena viene ripagata dall’impatto emotivo, in uno dei tanti momenti dell’episodio in cui Peter Dinklage emerge. Jon Snow non riesce a fermare l’esecuzione di alcuni prigionieri da parte di Verme Grigio, ormai disumanizzato. Arya freme di rabbia mentre assiste alla celebrazione della vittoria di fronte agli Immacolati e ai Dothraki.

Sospinta da un’inquadratura che gioca sulla prospettiva e le “dona” delle ali di drago, Daenerys compie anche visivamente la propria mutazione in regina delle ceneri. Si tratta dell’ennesimo cambiamento nel corso di una stagione che si apriva con la Madre dei Draghi innamorata e vestita di bianco. Stremata dalle perdite, dalle battaglie, dai torti subiti, Daenerys si presenta infine ai suoi uomini inesorabile e pacata, e proprio per questo terrificante. Qui Emilia Clarke pronuncia l’ultimo dei tanti discorsi del proprio personaggio, quello definitivo. Ma siamo ormai oltre la solitudine del tiranno, oltre il male necessario, oltre la rabbia incontrollabile. Il resto ha il passo di una tragedia inevitabile.Come The Bells, anche The Iron Throne muove da un’affermazione forte sul senso delle rivoluzioni. Sul cambiamento feroce che strappa e rimuove, che non ammette compromessi, che spazza via un ordine per impiantarne uno nuovo. Sull’utopia di chi crede negli sconvolgimenti moderati. The Bells, frettoloso e scomposto nelle sue conclusioni e nella gestione del personaggio di Daenerys, rappresentava l’atto in sé, furioso e completamente calato nel suo momento. The Iron Throne invece è la riflessione tardiva, la presa di coscienza degli illusi, la lenta consapevolezza di chi era nel torto. Ma lo era davvero?

Game of Thrones 8x06
The Bells e The Iron Throne restituiscono una fotografia spersonalizzata di Daenerys, così importante in questi due episodi, eppure mai davvero gratificata, lontana dalle azioni del proprio personaggio. Di tutti gli eroi caduti in otto stagioni, Daenerys è stata l’unica a soffrire un’accelerazione spropositata nei propri ostacoli, ad essere presa in contropiede dal destino anche quando aveva optato per scelte attente e giuste, ascoltando i propri consiglieri. Il personaggio ha scelto di assecondare la propria natura distruttiva, ma avrebbe meritato una migliore possibilità. L’episodio le concede solo un barlume di autocoscienza, quando si avvicina al trono per sfiorarlo – non riuscirà a sedersi – e intravediamo un senso di pietà per ciò che è diventata.

Il culmine narrativo delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco arriverà di lì a breve, con Jon che esce dal conflitto insostenibile tra amore e dovere e la pugnala di fronte al trono. L’eroe riluttante e l’eroina che ha ceduto al lato oscuro si abbracciano per l’ultima volta, entrambi a modo loro offerti in sacrificio alla storia. C’è un segmento interessante nel dialogo tra Jon e Tyrion nel quale si ricorda che le azioni dei figli non sono determinate dai padri: il retaggio non forgia il percorso di un individuo. Lo stesso si potrebbe dire, tutto sommato, per i natali di Jon, che per anni erano stati il grande segreto da scoprire nell’intreccio del trono. Aegon Targaryen come Aemon Targaryen quindi (nell’episodio viene pure citato), un legittimo erede al Trono esiliato tra i Guardiani della Notte.

Anche in scelte di questo tipo, la serie si guarda dall’esterno, come molte volte ha fatto in questi sei episodi, e gioca sul senso di chiusura. La parte finale dell’episodio, e della serie, accumula una serie di variazioni emotive piccole e grandi. Si va dalla biografia di Jaime ad opera di Brienne all’addio di Jon agli Stark rimasti. C’è un discorso improvvisato di Tyrion, l’indipendenza del Nord, alcune frecciatine e battute, un’adorabile prima sessione del nuovo Concilio del Re. La battuta di Tyrion sulle belle storie, così come il riferimento di Sam alle “Cronache”, sono la firma in calce ad un epilogo che parla agli spettatori. In un grande discorso tra i sopravvissuti che chiude ed elabora sfacciatamente quanto accaduto per rilanciare un nuovo equilibrio, viene proclamato un nuovo re.La scelta ricade su Bran. Non la migliore scelta immaginabile, ma la migliore possibile considerate le premesse dell’episodio. Bran non è disinteressato al potere – quello è Jon – ma è semplicemente altro rispetto ad esso, un simbolo neutrale, oltre ciò che è giusto o ingiusto. Non è il re migliore per tempi normali, ma considerato il periodo di transizione vissuto dai Sei Regni andrà bene. Sansa deve regnare sul Nord, tutto il suo percorso nelle ultime stagioni conduce lì, e lei stessa (personaggio più maturo e consapevole della stagione, chi l’avrebbe detto) ha dimostrato di meritarselo. Arya esploratrice ai confini del mondo potrebbe sorprendere, ma anche qui funziona la scelta per lei dopo aver rifiutato Gendry e aver chiuso con la sua personale lista dell’odio. Per una persona che alla sua età ha già visto così tanto del mondo, andare in cerca dell’ignoto sembra la scelta più logica.

Jon. La sua sorte sembra una maledizione circolare, una pena ingiusta. Perché ci è presentata così. Ma è qualcosa che va al di là del contentino agli Immacolati, e che non dovrebbe essere giudicata solo in base a ciò. Jon non è stato l’eroe che doveva essere. Qualcosa che può essere letto su un doppio livello, di fallimento o della scrittura o del personaggio. Ma rimane l’obbligo di una punizione, di un’assunzione di responsabilità almeno per uno degli Stark, in una stagione che così tanto li ha coccolati. Per troppo tempo Jon è rimasto nelle retrovie, finché l’unico modo per riscattarsi rispetto ai propri errori è stato anche il più terribile. Preso atto di ciò, questo non è più un mondo in cui può recitare una parte, perché quella parte è morta tra le fiamme insieme al Trono bruciato da Drogon. Come per altri eroi classici o contemporanei, l’autoesilio dopo il fallimento è l’unica possibilità.

Qui finisce il Trono di Spade. Con tutte le sue imperfezioni, i percorsi interrotti, l’intreccio infine affrettato, le forzature improbabili. Con tutti i suoi pregi, i personaggi indimenticabili, una vicenda straordinaria, i miracoli produttivi, lo sforzo collettivo di chi da solo ha alzato una vera Barriera tra ciò che era arrivato prima e ciò che è arrivato dopo questa serie. Termina su un finale che già sbiadisce e ci riporta indietro, ad una serie di momenti congelati nel tempo, in un presente continuo in cui sempre gli Estranei scenderanno da nord, sempre le Casate si faranno la guerra per il Trono, sempre l’Inverno starà arrivando.

And now our watch has ended

la cosa migliore che si può dire di questa stagione, e particolarmente di questo finale, che la rappresenta nella frettolosità e approssimazione della storia (come viene effettuata la nomina del nuovo re, effettivamente è ridicolo), e che finalmente ce lo siamo tolto dai c... :asd: il recensore che critica il comportamento di Drogon, che secondo lui il drago non è in grado di comprendere, si è però dimenticato di quello che ès tato detto alcune stagioni fa, quando Tyrion liberò i due draghi incatenati, i draghi non sono bestie, saranno distruttivi, ma la loro intelligenza è solo diversa da quella umana, non inferiore, e secondo Tyrion poteva anche essere superiore a quella della maggior parte degli umani :asd: Drogn sa benissimo cosa è Ginsnò e non potendo uccidere chi aveva materialmente ucciso Daenerys sfoga la sua rabbia contro la cosa che alla fine ha portato a quella morte... direi che è stata una delle poche cose azzeccate dell'episodio
 
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view post Posted on 15/6/2019, 09:07
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QUOTE (kostaki @ 21/5/2019, 01:23) 
(...)
la cosa migliore che si può dire di questa stagione, e particolarmente di questo finale, che la rappresenta nella frettolosità e approssimazione della storia (come viene effettuata la nomina del nuovo re, effettivamente è ridicolo), e che finalmente ce lo siamo tolto dai c... :asd: il recensore che critica il comportamento di Drogon, che secondo lui il drago non è in grado di comprendere, si è però dimenticato di quello che ès tato detto alcune stagioni fa, quando Tyrion liberò i due draghi incatenati, i draghi non sono bestie, saranno distruttivi, ma la loro intelligenza è solo diversa da quella umana, non inferiore, e secondo Tyrion poteva anche essere superiore a quella della maggior parte degli umani :asd: Drogn sa benissimo cosa è Ginsnò e non potendo uccidere chi aveva materialmente ucciso Daenerys sfoga la sua rabbia contro la cosa che alla fine ha portato a quella morte... direi che è stata una delle poche cose azzeccate dell'episodio

Secondo me si è sentita (troppo) la latenza di George Martin. Ad ogni modo, sono curioso di vedere il sequel su Arya.
 
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6 replies since 15/4/2019, 14:19   156 views
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